Volano le ristrutturazioni edilizie: atterraggio senza paracadute per le agevolazioni Iva

La progressiva crescita degli interventi di ristrutturazione edilizia, in parte determinata dalle misure emergenziali introdotte in piena pandemia e confermate nella recente manovra di bilancio, conferisce specifica attualità alla tematica delle agevolazioni Iva previste per talune tipologie di interventi.

Più nello specifico, il diritto all’Iva agevolata al 10% è riconosciuto, al sussistere di un dedicato contratto di appalto, al materiale pagatore dei lavori, essendo l’agevolazione ancorata alla tipologia di interventi eseguiti e non al requisito del possesso dell’immobile.

L’art. 7, comma 1, lett. b), e comma 2, della Legge 488/99, in particolare, prevede un’aliquota agevolata al 10%, per l’Iva relativa alla prestazione di servizi e non già all’eventuale acquisto di materiali, che seguono il regime ordinario.

Tale ultimo principio incontra la deroga connessa alla possibilità di estendere l’agevolazione ai predetti beni, purché “significativi” e fino a concorrenza del valore della prestazione realizzata con l’Iva agevolata.

Il massivo accesso a tale agevolazione confligge in parte con la tassatività della previsione, circostanza che ha imposto, a più riprese, l’intervento di interpretazione delle Commissioni Tributarie di merito, partendo dai principi stabiliti dalla Suprema Corte con la nota pronuncia n. 26821/2014.

Secondo i Giudici di Legittimità, la previsione normativa di diritto interno costituirebbe attuazione della Direttiva Comunitaria n. 85 del 1999, funzionale alla creazione di nuovi posti di lavoro attraverso l’introduzione di specifiche agevolazioni. Se così è, la nozione di “fornitura” va interpretata in modo rigoroso e letterale, limitata alla prestazione di servizi e non estendibile tout court alle cessioni di beni.

Specifica la Suprema Corte che “lo stesso decreto ministeriale, che parla di “cessioni dei beni”, le riconduce immediatamente a “una parte significativa del valore delle forniture effettuate nell’ambito delle prestazioni”, e dunque alla nozione di fornitura. Per una corretta applicazione della disciplina bisogna quindi per un verso emancipare la nozione di fornitura da coloriture civilistiche, per l’altro considerare la prestazione di servizio come tale, in modo indipendente dalla qualificazione derivante dal titolo contrattuale. Del resto, che la stessa nozione di cessione di beni vada intesa, nel campo tributario dell’IVA, in modo distinto dalla legislazione di diritto civile è quanto afferma la giurisprudenza comunitaria, che identifica nella cessione un qualsiasi trasferimento del potere di disporre di fatto sulla cosa (Corte giust. 6 febbraio 2003, causa C-185/01; per una nozione atecnica di cessione di beni, nel campo tributario dell’IVA, si veda già Cass. 10 dicembre 1997, n. 12493)”.

In altri termini, ciò che rileverebbe per la disciplina tributaria è la circostanza fattuale che ancora la fornitura ad una prestazione avente per oggetto un intervento di recupero del patrimonio edilizio, in tal modo escludendo – secondo la lettera della richiamata disciplina comunitaria presupposta – le possibilità di estensione dell’agevolazione all’acquisto dei materiali che costituiscono “una parte significativa del valore della fornitura”.

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