La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 25677 pronunciata il 16.05.2012 e depositata in data 03.07.2012, ha precisato come, in pendenza di una procedura di riscossione esattoriale, la richiesta inoltrata dal titolare di un conto corrente nei confronti del proprio istituto di credito di convertire un’ingente somma di denaro ivi depositata in numerosi assegni circolari di importo unitario inferiore alla soglia di tracciabilità, integri senza dubbio l’elemento oggettivo del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte disciplinato dall’art. 11 del D.lgs. n. 74/2000.
La suddetta disposizione, nell’individuare la condotta del reato, contempla infatti, oltre alla vendita simulata, anche il compimento di una serie non tassativa di atti la cui illiceità risiede nel carattere fraudolento degli stessi, laddove per atto fraudolento si deve intendere, nella terminologia legislativa, ogni comportamento che, pur formalmente lecito, sia tuttavia connotato da una componente di artifizio o di inganno. Copiosa giurisprudenza della Suprema Corte, sia pure con riferimento ad altri reati, ha definito il “mezzo fraudolento” come “qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato” (cfr. Cass. Pen. sez. VI, Sent. n. 26809 del 07.04.2011 dep. il 08.07.2011 e Cass. Pen. sez. VI, Sent. n. 40831 del 08.06.2010 dep. il 18.11.2010) ovvero come “quei comportamenti improntati ad astuzia o scaltrezza, tali da eludere le cautele e gli accorgimenti predisposti dalla persona offesa a tutela delle proprie cose” (cfr. Cass. Pen. sez. VI, Sent. n. 13871 del 06.02.2009 dep. il 03.03.2009).
Nella pronuncia all’esame, i giudici di legittimità hanno dovuto valutare la fondatezza del ricorso presentato da un contribuente, il quale, nell’ambito dell’adozione della misura cautelare del sequestro preventivo, ha denunciato violazione di legge proprio in relazione alla sopraccitata disposizione normativa. Tale contribuente era stato, in particolare, indagato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte avendo ordinato alla propria banca, in pendenza di una procedura di riscossione esattoriale, la conversione della somma rappresentata da dieci titoli di credito ognuno del valore di 174.530 euro (ottenuta mediante precedente smobilizzo di una consistente disponibilità giacente presso un deposito fiduciario) in ben 713 assegni circolari da 2.400 euro ciascuno. La Procura della Repubblica aveva poi proceduto col sequestro dei molteplici titoli di credito nonché dell’ingente somma da questi rappresentata pari a 1.745.300 euro. Avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP e confermato anche dal Tribunale del Riesame, il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra l’altro, l’insussistenza nel caso concreto del reato contestatogli. Questi non avrebbe, infatti, né proceduto a vendita simulata né, tantomeno, avrebbe compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la riscossione – entrambe condotte tipiche della fattispecie criminosa di cui all’art. 11 del D.lgs. n. 74/2000 – essendosi soltanto limitato a porre in essere atti di disposizione delle proprie sostanze.
La Suprema Corte non ha, tuttavia, condiviso la tesi prospettata dal contribuente, in quanto ha osservato che “ciò che colora di illiceità un comportamento altrimenti del tutto lecito, non è tanto la condotta di disposizione da parte del proprietario dei propri beni (come può essere, per esempio, quella del titolare di un conto corrente che richieda al proprio istituto di credito di prelevare, anche integralmente, le somme di denaro ivi depositate), quanto invece la richiesta di frazionare tale somma in ben 713 assegni il cui importo si situa significativamente al di sotto del limite di tracciabilità previsto dalla normativa antiriciclaggio, con conseguente esenzione da ogni possibilità di controllo”.
La terza sezione penale della Cassazione, quindi, prima di soffermarsi sulla particolare condotta dell’indagato, ha più volte ribadito come la mera attività di disposizione, da parte del proprietario, dei propri beni non possa affatto essere qualificata come attività fraudolenta di sottrazione al pagamento delle imposte.
Con specifico riferimento al caso concreto, la Suprema Corte ha poi ritenuto che costituisca condotta anomala, idonea quindi ad integrare la componente della fraudolenza che nella struttura della norma di cui all’art. 11 del D.lgs. 74/2000 “colora di illiceità un comportamento altrimenti del tutto lecito”, la richiesta di conversione all’istituto di credito di riferimento di una somma assai ingente, ivi giacente a garanzia di una procedura di riscossione esattoriale, in numerosissimi assegni circolari di piccolo taglio, evidentemente funzionali ad una imminente disposizione della somma ed alla conseguente riduzione della garanzia patrimoniale del debitore.
I giudici di legittimità hanno, inoltre, precisato come tale fattispecie criminale rientri nella categoria dei reati di pericolo, con la conseguente inutilità dell’accertamento della contestualità della procedura di riscossione esattoriale rispetto alla condotta tipica descritta dall’art. 11.
In conclusione, la Suprema Corte di Cassazione, qualificando l’anomalo comportamento tenuto dal contribuente come attività riconducibile alla fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 D.lgs. 74/2000, ha confermato la legittimità del decreto di sequestro preventivo per equivalente, in funzione della successiva confisca, dei titoli di credito, respingendo definitivamente il ricorso proposto dal contribuente.