E’ invalida la clausola compromissoria inserita nello statuto della società semplice che deferisce ad un arbitrato irrituale l’azione di revoca dell’amministratore per irregolarità inerenti il bilancio.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18600 del 12 settembre 2011 nel giudizio promosso con ricorso dall’ex amministratore di una società in accomandita semplice che si opponeva alla revoca del suo mandato disposta mediante l’instaurazione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., revoca poi confermata dal Tribunale in sede di reclamo ed in sede di giudizio di merito.
Nel caso di specie l’amministratore revocato ha sostenuto che il provvedimento fosse invalido poiché nello statuto societario era contenuta una clausola compromissoria, secondo la tesi difensiva pertanto la controversia doveva essere devoluta ad un arbitro.
La Corte di Cassazione non ha accolto tale ricorso propendendo per l’invalidità della clausola compromissoria dal momento che la controversia riguardava l’irregolarità di bilancio.
In particolare la Suprema Corte ha richiamato una precedente sentenza, la n. 3772 del 23 febbraio 2005, secondo la quale le controversie in materia societaria possono essere oggetto di arbitrato ad esclusione però di quelle che abbiano ad oggetto interessi della società che riguardino la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi.
La Corte ha precisato che : “l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio”.
Sulla base di tale principio è stato quindi ritenuto che non possa essere deferita al giudizio arbitrale l’azione di revoca per giusta causa di un amministratore di una società di accomandita semplice ex art. 2293 c.c. fondata sulla violazione, da parte dello stesso amministratore, delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci nonché l’obbligo di consentire ai soci il controllo sociale, vedasi Cass. Civ. 18/02/1998 n.1739. Ciò in quanto trattasi di norme finalizzate alla tutela di interessi indisponibili di singoli soci la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.
Per completezza si evidenza che lo stesso principio è stato affermato in relazione a controversie concernenti l’esclusione del socio da cui derivi lo scioglimento della società e quelle concernenti lo scioglimento delle società di persone.
La Suprema Corte ha rigettato anche il secondo motivo di ricorso in cui l’amministratore revocato lamentava il difetto di contraddittorio nei confronti della sas, stante la mancata citazione anche della società nella persona dell’amministratore di nomina giudiziale.
Nello specifico la Corte di Cassazione ha stabilito che : “ l’unificazione della collettività dei soci e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità dei soci una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell’unicità esclusiva di un ente terzo”.
Ne consegue che nel piano processuale ai fini di una corretta instaurazione del contraddittorio in giudizio nei confronti della società è sufficiente la presenza di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa, vedasi al riguardo anche Cass. Civ. 5 aprile 2006 n. 7886 e Cass. Civ. 8 aprile 2009 n.8570.