Di recente, numerose Sezioni Specializzate in Materia d’Impresa sono state chiamate e risolvere la spinosa questione inerente ai profili di legittimità ad agire in giudizio per i contitolari di titoli di privativa industriale, in assenza di iniziative condivise da maggioranze societarie.
La vexata quaestio coinvolge, invero, la non sempre lineare applicazione delle regole civilistiche in tema di comunione alla disciplina chiamata a regolare la proprietà industriale.
Al riguardo, appare necessario, sin da subito, evidenziare che l’autonoma legittimazione del condomino sussiste solamente se l’azione sottesa inerisce alla tutela della cosa comune (ex multis, Cass. Civ. 28.01.2015, n. 1650, n. 19329/2009 e n. 10219/2012).
In forza di quanto previsto dal disposto normativo di cui all’art. 1105, comma 2, c.c., il potere di ogni comunista di agire anche per la gestione ordinaria del bene comune, incontra invalicabile limite nell’obbligo di rispettare la volontà della maggioranza, con la conseguenza che, ove questa non possa essere raggiunta, nessuno dei condomini può porre in esecuzione, contro la volontà espressa degli altri, il cennato potere di amministrazione con azioni giudiziarie in relazione alle quali la sua carenza di legittimazione attiva deve essere rilevata dal giudice anche di ufficio (Cass. Civ. Sez. III, n. 2363/1992).
In altri termini, il ricorso proposto deve essere ritenuto quale atto di straordinaria amministrazione, e quindi necessariamente soggetto alle maggioranze qualificate dettate dall’art. 1108 c.c., evidentemente non detenute dal signor Ceresoli.
Per costante orientamento giurisprudenziale, anche di legittimità, la proposizione di domande giudiziali rientra, infatti, nell’alveo degli atti di straordinaria amministrazione, il che postula, come argomentato, il rispetto di particolari maggioranze qualificate (art. 1108, comma 2), atteso che il potere di ogni comunista di agire per la gestione del bene comune, traendo origine dal diritto di concorrere all’amministrazione di tale bene, incontra il suo limite naturale nella circostanza che l’atto da compiere ecceda l’area della ordinaria amministrazione (Cass. Civ., sez. III, n. 1662/2005).
Il Tribunale Ordinario di Brescia – Sezione Specializzata Tribunale delle Imprese, con ordinanza in data 9 settembre 2022, ha dichiarato inammissibile il ricorso cautelare presentato dal contitolare al 50% del diritto industriale controvertito, ritenendo che “la legittimazione ad agire giudizialmente per la tutela della cosa comune non ricorre laddove, come nel caso in esame, sia dato rilevare il dissenso degli altri comproprietari, complessivamente titolari della quota maggioritaria. In proposito può essere richiamato altresì l’orientamento giurisprudenziale di legittimità cui ha aderito, da ultimo, Cass. 9556/2017, secondo cui con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, dev’essere negata la legittimazione attiva del comproprietario del bene locato “pro parte dimidia”, ove risulti l’espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell’art. 1105 c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell’ordinaria amministrazione della cosa comune”.