Nell’applicare i parametri degli studi di settore il Fisco ha l’onere di provare l’attività effettivamente svolta dal contribuente

Con la sentenza n. 2368 del 31 gennaio 2013 la Corte di Cassazione, sezione V, torna a pronunciarsi sulla legittimità dell’accertamento basato sugli studi di settore, ribadendo che, in caso di loro applicazione, spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare che il tipo di attività svolto dal contribuente rientra in uno studio di settore diverso da quello accertato, mentre risulta del tutto irrilevante un eventuale errore del privato che, in sede di dichiarazione, abbia indicato un codice diverso.

Nel caso in esame il contribuente ha impugnato con ricorso per Cassazione la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva accolto la tesi dell’Agenzia volta a sostenere che il contribuente aveva omesso di dimostrare di avere svolto attività inquadrabile nel codice 45310 – attività di installatore di antenne – né aveva documentato che l’indicazione del codice 32303 – attività riparazione di apparecchi elettrici – fosse frutto di un mero errore in quanto estraneo alle mansioni effettivamente svolte.

Secondo i Giudici di appello, vertendosi in tema di accertamento svolto alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 sulla base dei parametri previsti dal D.P.C.M. del 27.3.1997, era onere del contribuente dimostrare che l’attività svolta, a prescindere dall’ errore commesso in sede di dichiarazione, si inquadrasse nella categoria 45310, circostanza che non sarebbe emersa in giudizio.

Nel ricorso in Cassazione il contribuente ha rilevato come il giudice di appello non avesse valutato tutti gli elementi documentali allo stesso offerti ed avesse quindi errato nel non ritenere che, sulla base di detti elementi, l’accertamento fosse sfornito della presunzione di fondatezza che, sola, avrebbe potuto legittimare l’inversione dell’ onere probatorio a carico del contribuente.

Nella pronuncia in esame gli Ermellini richiamano la sentenza delle S.S.U.U. n. 26635/09, secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non é ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. Secondo tale pronuncia, all’ente impositore fa quindi carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce; la motivazione dell’atto di accertamento non può inoltre esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate.

Secondo le Sezioni Unite, il sistema dei c.d. parametri affianca quindi la procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in quanto l’accertamento standardizzato è indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili ed anzi può fornire elementi atti a dimostrare l’inattendibilità di una contabilità pur formalmente regolare; tale sistema trova il suo punto centrale nel contraddittorio endoprocedimentale, quale mezzo necessario al fine di consentire l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa).

Secondo la Cassazione, pertanto, i Giudici di appello hanno errato in diritto, ritenendo che competesse al ricorrente dimostrare che l’attività svolta si inquadrasse nella categoria 45310, mentre era invece l’Agenzia delle Entrate a dovere dimostrare, anche sulla base degli elementi offerti nel contradditorio antecedente all’emissione dell’avviso, l’applicabilità degli specifici parametri utilizzati all’attività in concreto svolta dal contribuente sulla base degli elementi sopra indicati o di altri elementi dalla stessa individuati; ciò significava quindi fornire la prova dell’attività effettivamente svolta dal contribuente, se diversa da quella dichiarata e dimostrare la corrispondenza di tale attività con la descrizione del tipo di attività al quale si riferiva il codice utilizzato.

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