L’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997 prevede la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta o della differenza del credito “se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante…“.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6663 del 21 marzo 2014, ribadisce che tale sanzione è dovuta, in caso di dichiarazione infedele, anche in presenza di eventuali titoli di compensazione.
Nella vicenda in esame l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società, nel quale aveva imputato ai fini IRAP ed IRPEG componenti negativi di reddito non deducibili perché asseritamente privi dei requisiti di inerenza, certezza e determinabilità e, ai fini IRPEG, componenti positivi non dichiarati per l’omessa contabilizzazione di ricavi, in base ad una presunzione di cessioni, conseguente alla rilevazione di differenze d’inventario; ai fini IVA aveva rilevato l’omessa contabilizzazione dei ricavi corrispondenti ai componenti positivi già indicati, l’acquisto di merci senza fattura, la contabilizzazione dei costi non inerenti corrispondenti ai componenti negativi non deducibili sopra specificati, irrogando le relative sanzioni e gli interessi.
La società ha impugnato l’avviso e la successiva cartella di pagamento e la Commissione tributaria provinciale ha respinto i ricorsi osservando, tra l’altro, l’infondatezza delle giustificazioni addotte relative all’utilizzabilità dei crediti maturati negli anni precedenti.
La società ha proposto appello avverso la sentenza, respinto dalla Commissione tributaria regionale, la quale, per un verso, ha ritenuto, quanto alla sanzione comminata per l’infedele dichiarazione ai fini IRPEG, che la sanzione deve essere calcolata “…prima che la scelta di compensare le perdite pregresse debba essere esplicitata, inevitabilmente, in sede contenziosa” e, per altro verso, che il condono è finalizzato alla definizione dei debiti tributari e non già “…a coprire nuovi accertamenti“.
La società ha proposto ricorso per Cassazione lamentando anche la violazione dell’art. 1 D.Lgs. n. 471/1997 in quanto, con riguardo ai recuperi a tassazione effettuati dall’Agenzia, l’azzeramento del maggior reddito accertato per effetto delle perdite pregresse, secondo la ricorrente, avrebbe determinato l’illegittimità dell’applicazione della sanzione irrogata per infedele dichiarazione.
La Cassazione tuttavia non accoglie tale tesi ribadendo un orientamento consolidato sul punto, precisando che la norma in esame è finalizzata a prevenire la presentazione, da parte dei contribuenti, di dichiarazioni infedeli, pertanto le corrispondenti sanzioni, di natura amministrativa, sarebbero da riconnettere al solo dato obiettivo della dichiarazione di un reddito inferiore a quello accertato o, comunque, di un’imposta inferiore a quella dovuta.
Secondo i Giudici: “… è tale infedele dichiarazione che induce il conseguente accertamento, il quale a sua volta determina l’irrogazione della sanzione (espressamente in termini, Cass. ord. 14 giugno 2011, n. 13014 e Cass., ord. 1 febbraio 2013, n. 2486; vedi anche, sia pure con diversa motivazione, Cass., ord. 26 settembre 2012, n. 16333)”.
La Cassazione evidenzia anche che il comma 4 dell’art. 1 D.Lgs. 471/1997 prevede che “per maggiore imposta si intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni…“: secondo i Giudici ad assumere rilievo sono quindi la liquidazione e la liquidabilità dell’imposta, logicamente e cronologicamente prodromiche rispetto alla fase in cui acquistano o possono acquistare rilievo titoli di compensazione o anche lo stesso pagamento dell’imposta; inoltre i parametri prescelti dal legislatore evidenzierebbero che, nella liquidazione dell’imposta, si deve aver sempre riguardo al reddito imponibile come cristallizzato dalla dichiarazione, che innesta il successivo accertamento, il quale verifica i dati e gli elementi contenuti nella dichiarazione medesima.
Pertanto la circostanza che, al momento della concreta applicabilità del tributo, ossia in sede di riscossione, venga riconosciuto dal Fisco l’utilizzo di perdite pregresse che azzerano il maggiore imponibile accertato (e di conseguenza anche l’imposta dovuta) non rilevano in relazione all’applicabilità della sanzione amministrativa.