Il vigente art. 2086 c.c., così come modificato dal d.Lgs. n. 14 del 12.1.2019, stabilisce che “l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
La novella in commento, che – all’indomani della propria entrata in vigore – aveva già animato un acceso dibattito dottrinale, anche nella prospettiva della necessaria tenuta in evidenza di detto nuovo obbligo normativo nell’attuazione dei Modelli Organizzativi d’impresa ai sensi del d.Lgs. 231/01, ha trovato la sua piena spiegazione in taluni recentissimi approdi della giurisprudenza di merito
L’illuminata interpretazione delle più importanti Sezioni Specializzati in tema di impresa ha stimolato l’affermazione di un nuovo approccio alla gestione della crisi di impresa, caratterizzato da una progressiva correlazione tra principi di corretta amministrazione, adeguati assetti e monitoraggio della continuità aziendale, quest’ultima intesa come capacità dell’impresa di svolgere la propria attività in un prevedibile futuro. Il monitoraggio della continuità aziendale, divenuto ineludibile presidio di qualsivoglia Modello Organizzativo 231, è – per come introdotto dall’art. 2086 c.c. – preciso dovere dell’imprenditore e degli organi sociali, da adempiere mediante l’istituzione di assetti organizzativi per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale.
Il Tribunale di Roma, nella sentenza del 15 settembre 2020, ha chiarito come “l’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi non è una assoluta novità, essendo stato introdotto nel codice civile dalla riforma del diritto societario (…) dall’art. 2381 c.c., che –in particolare ai commi 3 e 5- prevede: il Consiglio di amministrazione valuta, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; e gli organi delegati curano che tale assetto sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa.”.
Resta il tema, centrato dalla giurisprudenza di merito, secondo cui, pur avendone chiarito la finalità in termini di prevenzione e gestione della crisi d’impresa, il legislatore non abbia però individuato il contenuto degli assetti organizzativi, utilizzando tuttavia l’aggettivo adeguati.
Per come interpretato dalla recentissima giurisprudenza, il concetto di adeguatezza implica la strutturazione di un’organizzazione interna che sia in grado di “adeguarsi” all’andamento dell’attività di impresa e, quindi, alle variazioni del rischio gestionale che questo comporta. E ciò tenendo conto che l’aggettivo adeguati implica, altresì, una valutazione discrezionale da parte degli organi gestori, in merito al livello di organizzazione da raggiungere: discrezionalità che dovrà essere orientata sulla base dei parametri quantitativi della natura e della dimensione dell’impresa.
Rientrando, dunque, nell’ambito delle valutazioni discrezionali, è necessario – secondo il Tribunale di Roma – domandarsi se il nuovo assetto dei doveri organizzativi introdotto dalla riforma in tema di crisi d’impresa possa avere riflessi sui criteri di valutazione della responsabilità gestoria.
Secondo la condivisibile posizione del Tribunale capitolino, è “quindi, necessario verificare quale possibile nuova configurazione possano assumere i doveri di condotta degli organi gestori rispetto alla crisi e quale rilevanza possa essere riconosciuta al principio della business judgment rule in rapporto alle scelte inerenti agli adeguati assetti organizzativi finalizzati alla prevenzione della crisi, il tutto appunto nella prospettiva dei profili di responsabilità che potranno configurarsi.”
Il problema del rapporto tra il perimetro di operatività del principio della business judgment rule e le scelte inerenti agli assetti organizzativi, secondo i Giudici romani, si riproporrebbe in quanto l’opzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, nel senso che l’organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all’adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nel momento della crisi.