Con l’entrata in vigore della legge n. 112/2016 recante “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, il legislatore interno ha, tra le altre cose, trasformato il contratto di affidamento fiduciario da contratto socialmente tipico in vero e proprio contratto “nominato”.
In tal modo, l’ordinamento italiano ha fatto proprio lo strumento idoneo alla costituzione di un patrimonio separato – il c.d. “fondo speciale” – destinato alla realizzazione del programma fiduciario e in grado, al contempo, di generare un vincolo di destinazione opponibile ai terzi.
Proprio con riferimento a tale ultimo assunto, l’espresso richiamo all’art. 2645-ter c.c., in combinato disposto con la previsione di cui all’art. 1707 c.c., garantisce un effetto segregativo tra i beni che costituiscono il fondo speciale e il restante patrimonio del soggetto fiduciario.
Nonostante l’infelice collocazione della norma tra gli adempimenti trascrittivi, il legislatore, con il citato art. 2645-ter c.c., ha introdotto una figura generale di atto negoziale di destinazione, in forza del quale uno o più beni vengono vincolati ad uno scopo, vincolo rafforzato da un meccanismo di separazione patrimoniale.
In altri termini, il rimando all’istituto in oggetto consente al disponente di programmare un utilizzo del bene orientato ad un fine specifico.
Per effetto dell’atto di destinazione, i beni subiscono un vincolo giuridico di ordine finalistico per il quale essi devono essere utilizzati secondo quella che la dottrina ha avuto modo di definire una “trasformazione strutturale del potere dispositivo”, con il passaggio da un agire libero ad un agire funzionale.
L’imposizione del vincolo obbliga così al perseguimento della finalità prospettata, potendo i soggetti interessati agire contro il proprietario del bene per la sua attuazione.
Oltre al contenuto positivo dell’atto di destinazione, vi è anche quello negativo.
Il proprietario del bene vede, infatti, circoscritte le facoltà di utilizzazione del bene stesso, essendogli precluse forme di utilizzo diverse da quelle funzionali allo scopo.
Così facendo, il vincolo circoscrive e condiziona i poteri del soggetto proprietario, con conseguente restrizione di carattere “impeditivo” alla sfera di godimento e di disposizione del bene.
La presenza di un vincolo di destinazione di natura obbligatoria ha naturalmente riflessi in termini di opponibilità, atteso che:
- il beneficiario del vincolo medesimo è mero creditore del conferente e al medesimo compete l’azione risarcitoria in caso di mancato impiego dei beni per la realizzazione del fine di destinazione, a seguito della violazione del vincolo di utilizzazione espressamente previsto dalla norma;
- le azioni proponibili dal beneficiario, quale “interessato”, prescindono da ogni collegamento di natura reale con i beni destinati (si pensi, ad esempio, alle azioni cautelari).
Nei confronti dei creditori l’opponibilità del vincolo determina, come anticipato, un effetto separativo patrimoniale.
Il legislatore, nell’ultima parte dell’art. 2645-ter c.c., prevede che i beni conferiti e i loro frutti costituiscono oggetto di esecuzione solo per debiti contratti per tale scopo.
Attraverso l’opponibilità del vincolo di destinazione viene così a determinarsi un effetto di separazione reale verso i creditori diversi dai creditori della destinazione, che perdura fintanto che prosegue la destinazione. In questo modo, si verifica una limitazione, per l’avente causa, della funzione di garanzia patrimoniale in relazione ai beni destinati.
Applicando i principi sopra esposti alla novella introdotta dalla legge n. 112/2016 sul “Dopo di noi”, ne discende che i fondi speciali risultano sottratti alla responsabilità patrimoniale della società fiduciaria e possono, in tal modo, essere soggetti ad esecuzione solo con riferimento a posizioni debitorie maturate in esecuzione e per effetto del perseguimento del programma fiduciario.
I precetti in commento sono stati trasposti in un modello di “contratto di amministrazione fiduciaria di fondi speciali” ad opera di Assofiduciaria che ha voluto, in tal modo, conferire concretezza al coraggioso percorso del legislatore nazionale a tutela dei soggetti particolarmente bisognosi.
La scelta di predisposizione del cennato modello contrattuale, sviluppato in ossequio ai congiunti principi della fiducia romanistica e del precetto del richiamato art. 2645-ter c.c., permette di fornire una coerente e chiara soluzione alla vexata quaestio concernente l’eventuale opponibilità o meno ai terzi del pactum fiduciae.
In tale chiave prospettica, il proposto modello contrattuale impone che il trasferimento della proprietà di beni immobili e mobili soggetti a trascrizione venga effettuato mediante trascrizione contro il fiduciante e a favore della fiduciaria, lasciando – di contro – il vincolo di destinazione trascritto contro la fiduciaria, come disciplinato dal più volte richiamato art. 2645-ter c.c.
La descritta soluzione appare conforme alle linee interpretative offerte dalla giurisprudenza di merito che – antecedentemente alla novella in rassegna, chiamata a pronunciarsi sugli effetti nei confronti di terzi dell’affidamento fiduciario – aveva statuito come esso consentisse di “rendere apponibile erga omnes l’effetto di destinazione, in forza del quale insorge a vantaggio del beneficiario un diritto di credito (personale e non in re) a che il bene trasferito e i suoi frutti siano conservati alla destinazione impressa, diritto pienamente opponibile ai terzi che abbiano trascritto il proprio atto di acquisto del cespite destinato successivamente alla trascrizione del vincolo di destinazione” (cfr. Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Fallimentare, decreto del 27 gennaio 2014).
La lettera dell’art. 2645-ter c.c. dispone, infatti, l’obbligatoria trascrizione degli atti di destinazione al fine di rendere opponibili ai terzi il vincolo, difendendo il conseguente effetto separativo.
Tale dizione induce a ritenere che la trascrizione abbia ad oggetto l’effetto, cioè il vincolo di destinazione, e non l’atto di destinazione.
Sul punto, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che la trascrizione sarebbe munita di una propria efficacia tipica, il cui fondamento risiede nel particolare meccanismo dell’art. 2644 c.c., applicabile esclusivamente agli atti elencati agli artt. 2643 c.c. e 2645 c.c., in forza dei quali prevale chi prima trascrive e non chi prima contrae.
L’art. 2643 c.c. opera quindi un’individuazione degli effetti, mentre l’art. 2645 c.c. rende eseguibile la trascrizione di atti e provvedimenti che, pur non identificandosi con i contratti oggetto dell’art. 2643 c.c., ne producono gli stessi effetti.
Interessante appare inoltre il rinvio effettuato dall’art. 2645-ter c.c. all’art. 2915 c.c., comma 1, in ordine alla risoluzione dei conflitti tra creditore pignorante e autore della destinazione-debitore.
Ebbene, facendo proprio il principio alla base del menzionato art. 2644, comma 2, anche l’art. 2915 c.c. fa valere la prevalenza di chi trascrive per primo in luogo dell’anteriorità della data certa dell’atto.
Ciò non può far altro che ritenere equiparabile l’effetto di separazione patrimoniale – a seguito della trascrizione del vincolo di destinazione – nei confronti dei creditori diversi dai creditori della destinazione a quello di inopponibilità che nasce dal pignoramento, potendo così affermare come entrambi gli effetti appaiano astrattamente idonei a spiegare efficacia nei confronti di successivi aventi causa dei beni destinati.