L’onorario dello “studio della controversia” è escluso in caso di mera presentazione del ricorso.

Con la sentenza n.2481 del 01 febbraio 2013 la Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che l’avvocato che subentra ad un collega e si limita a notificare ed iscrivere a ruolo un ricorso non può richiedere al cliente gli onorari per “studio della controversia” e “ricerca di documenti”.

Nel caso di specie, un avvocato aveva ottenuto dal Giudice di Pace dell’Aquila un decreto ingiuntivo, nei confronti del proprio cliente per il mancato pagamento di una somma a titolo di saldo per l’opera prestata dal medesimo nel giudizio promosso dall’ingiunto presso il TAR dell’Aquila. L’assistito aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, deducendo di non dovere quanto richiesto stante il fatto che l’opponente era subentrato in qualità di nuovo difensore, nella causa amministrativa, al precedente professionista, il quale aveva redatto materialmente ed integralmente il ricorso introduttivo del giudizio. La sua attività, quindi, era consistita semplicemente  nella notifica ed iscrizione a ruolo del ricorso, nonché nel deposito dell’istanza di discussione  e di quella di prelievo. Al legale, pertanto, non potevano spettare gli onorari da lui richiesti per “studio della controversia” e per “ricerca documenti”.

Il Giudice di Pace dell’Aquila aveva rigettato l’opposizione; avverso tale sentenza veniva proposto appello ed il Tribunale accoglieva l’impugnazione in quanto il nuovo difensore, avendo ricevuto un mero incarico procuratorio, non doveva  espletare lo studio della controversia né la ricerca dei documenti, per cui  nulla doveva essere versato per tali voci.

Il professionista proponeva ricorso in Cassazione avverso a tale sentenza sulla base di  tre motivi d’impugnazione.

Con il primo motivo il ricorrente censurava l’assunto della sentenza emessa dal Tribunale dell’Aquila secondo cui era insussistente il diritto del procuratore a percepire sia i diritti che gli onorari per l’attività svolta (disamina, studio della controversia, consultazione e ricerca di documenti); con il secondo motivo denunciava l’omessa o contraddittoria motivazione della Corte con riferimento all’assunto del giudice dell’impugnazione  secondo cui l’opposto avrebbe riconosciuto di non avere ricevuto l’incarico di assistenza e difesa, “ma di essere stato designato quale domiciliatario  e procuratore mandato del compimento di singole specifiche attività processuali”, essendosi egli limitato a prospettare, in quella sede, la contraddittorietà della tesi dell’opponente, che aveva da un lato invocato la responsabilità professionale dell’opposto e dall’altro escluso lo svolgimento, da parte sua, di qualsiasi attività di assistenza e difesa.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che le statuizioni del Tribunale adito fossero adeguatamente motivate in relazione alle questioni suddette. Nello specifico i Giudici d’Appello avevano infatti rilevato che lo stesso professionista, in sede di provvedimento monitorio, aveva riconosciuto di non avere “avanzato alcuna richiesta per onorari e competenze inerenti la redazione del ricorso” e di essere stato designato in sostanza solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio avanti al TAR. La Corte di Cassazione ha ritenuto, inoltre, che il Tribunale adito  avesse supportato i limiti del mandato anche con il richiamo all’esclusione della richiesta di  d.i. del compenso per attività svolte da altro professionista, come nel caso della redazione del ricorso, sottolineando che  lo stesso ricorrente  riconosceva il mancato conferimento di alcun incarico di difesa da parte del cliente e che lo stesso si era limitato a dare notizia alla parte dell’ordinanza istruttoria del TAR.

Con il terzo motivo il ricorrente invece denunciava la violazione e falsa applicazione del DM 127/2004, sostenendo che anche al procuratore  domiciliatario devono essere riconosciuti i diritti di disamina e studio della controversia e quelli di ricerca documenti, che  costituisce un’attività intellettuale  e non materiale.

Gli Ermellini, nel respingere la doglianza, hanno affermato sul punto che “la ricerca di documenti costituisce una prestazione d’ordine intellettuale, essa però non va confusa con l’attività meramente materiale con la quale i documenti sono messi a disposizione del professionista; tale attività tuttavia si inserisce tra l’attività di studio della controversa e quella relativa alla consultazione con il cliente ed è normalmente seguita dalla preparazione e redazione del’atto introduttivo del giudizio, che nella fattispecie era stato redatto dal difensore. Alla luce di ciò  è consequenziale e logico il mancato riconoscimento da parte del giudice  a qua degli onorari e dei diritti per le attività di studio non richieste e per la “ricerca di documenti”, trattandosi appunto di atti finalizzati alla redazione dell’atto introduttivo, nella fattispecie scritto da altro legale”. 

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