L’assistenza tecnica in giudizio: la tutela del diritto di difesa e le preclusioni processuali

La materia tributaria è notoriamente caratterizzata da uno spiccato tecnicismo, non privo, specialmente nel periodo attuale, di norme di difficile interpretazione inserite in un sistema fatto di rinvii ad altre disposizioni e di carenza di coordinamento, per cui per approcciare alla stessa è sempre più richiesta una preparazione specifica.

Ciò nonostante, capita spesso, e le pronunce della Suprema Corte lo confermano, che il contribuente, forte delle proprie ragioni, si cimenti in difese “fai da te”, rivolgendosi solo in un secondo momento ad un “tecnico della materia”, rischiando in tal modo di compromettere la propria difesa.

Il ricorso introdotto personalmente dal contribuente in una controversia eccedente il valore consentito per la presentazione del ricorso senza l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, caso affrontato anche recentemente dalla Corte di Cassazione, pone questioni di rilevante importanza coinvolgendo sia il diritto di difesa (nella specie difesa tecnica in giudizi) sancito e tutelato dall’art. 24 della Carta Costituzionale, sia aspetti più propriamente procedurali riguardanti l’impostazione delle difese dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale a fronte delle preclusioni processuali imposte dalla disciplina del rito tributario regolato dal D.Lgs. n. 546/1992.

Nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini e deciso con la sentenza n. 23315 del 15 ottobre 2013, il contribuente impugnava gli avvisi di accertamento ai fini IRPEF ed ILOR relativi ad omesse dichiarazioni di redditi conseguiti da locazioni di immobili.

In prima istanza la CTP accoglieva parzialmente i ricorsi ritenendo errati gli accertamenti in quanto riferiti a quattro appartamenti, mentre in realtà i diversi contratti di locazione erano riferiti allo stesso immobile.

La pronuncia veniva impugnata dal contribuente dinanzi alla CTR che accoglieva le sue doglianze fondate sull’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata in primo grado con memoria tecnica successivamente alla presentazione del ricorso, in quanto emerso che la proprietà degli immobili era riconducibile ad altri soggetti mentre il ricorrente aveva solo concluso i contratti di locazione.

L’Ufficio proponeva, avverso tale pronuncia, ricorso per Cassazione affidato all’unico motivo della violazione degli art. 18, comma 2 e art. 24 del D.Lgs. 546/1992, nonché dell’art. 112 c.p.c., in quanto il motivo accolto dalla CTR era stato sollevato soltanto successivamente alla presentazione del ricorso in violazione delle disposizioni che disciplinano il contenuto del ricorso introduttivo, il divieto di integrazione dei motivi e il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La Cassazione, sul punto, afferma che l’eccezione sollevata dal contribuente, intesa come titolarità passiva del rapporto fiscale e responsabilità per il pagamento dell’imposta, non è rilevabile d’ufficio, atteso che la sussistenza o meno dell’asserito diritto della responsabilità fiscale dipende dall’accertamento di una situazione avente rilevanza giuridica, e cioè dalla proprietà degli immobili in questione. Il predetto motivo di impugnazione dell’accertamento, deve essere proposto sin dal ricorso introduttivo, restando preclusa alla parte la possibilità di sottoporre alla CTP ulteriori profili di legittimità rispetto a quelli originariamente dedotti.

L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita nel solo caso di deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, ipotesi che nel caso di specie non si era verificata.

Ciò posto, nel caso di specie emergeva dagli atti di causa che i ricorsi erano stati dapprima introdotti con atti sottoscritti personalmente dalla parte in una controversia eccedente il valore consentito per la presentazione del ricorso senza l’assistenza di un difensore abilitato.

In tema di assistenza tecnica del contribuente nei giudizi tributari di importo superiore ad Euro 2.582,28, la Corte, in continuità con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 189/2000 e 158/2003, ha affermato che la mancanza di siffatta difesa tecnica “determina semplicemente il dovere per il giudice tributario adito di imporre l’ordine di munirsi di detta assistenza, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5; ciò in quanto la disposizione va interpretata, in una prospettiva costituzionalmente orientata, in linea con l’esigenza di assicurare l’effettività del diritto di difesa nel processo e l’adeguata tutela contro gli atti della P.A., evitando nel contempo irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il soggetto che si intende tutelare” (Cass. 3166/2012; v. anche Cass. Sez. unite 22601/2004).

Corollario indefettibile di tale principio – che ha condotto al rigetto del ricorso proposto dall’Ufficio ed alla conferma della sentenza impugnata –  è il riconoscimento alla parte di sanare l’irritualità del ricorso munendosi di assistenza tecnica e ricollegare al primo atto del difensore (la memoria) le prescritte preclusioni processuali che caratterizzano il contenzioso tributario, in quanto se l’assistenza tecnica è ritenuta necessaria dal Legislatore, deve essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa del contribuente, senza che la stessa sia limitata (pena la violazione dell’art. 24 Cost.) da precedenti impostazioni del contribuente, difesosi personalmente. Alla luce di ciò, il difensore, nella memoria, può eccepire motivi di impugnazione non rilevabili d’ufficio ulteriori rispetto a quelli sollevati dal contribuente nel ricorso.

 

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A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 156/2015 all’articolo 67-bis del D.Lgs. 546/1992, tale previsione stabilisce che le sentenze delle commissioni tributarie (oggi, per effetto della Legge n. 130/2022, corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado) sono esecutive. Già anteriormente al D.Lgs. 156/2015, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che l’efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi fosse già riconosciuta dal sistema. Essa doveva desumersi, oltre che dal generale rinvio effettuato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile, e quindi anche all’articolo 282 c.p.c., anche sulla base dell’articolo 68 del menzionato D.Lgs. 546/92.

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