Gli atti dell’autorità giudiziaria, ancorché suscettibili di impugnazione, devono essere registrati ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 131/1986 (c.d. TUR), nella misura disposta dall’art. 8 della Tariffa-Parte I, ad esso allegata, differenziata in base all’oggetto della pronuncia.
In particolare sono soggetti a registrazione in termine fisso (ossia obbligatoriamente e non in caso d’uso) gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti di aggiudicazione e quelli di assegnazione, anche in sede di scioglimento di comunioni, le sentenze che rendono efficaci nello Stato sentenze straniere e i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali.
Il principio dell’alternatività Iva-registro, disciplinato dall’art. 40 del TUR – secondo il quale, in via generale, per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di registro si applica in misura fissa – trova applicazione anche con riguardo agli atti giudiziari per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’Iva (Nota II all’art. 8 della Tariffa-Parte I).
Questo tema è stato recentemente affrontato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21775 del 15.10.2014, con specifico riguardo alla corretta applicazione dell’imposta di registro sulla somma capitale e sugli interessi moratori oggetto di condanna in un provvedimento giudiziale.
La vicenda traeva origine da un avviso di liquidazione notificato dall’Amministrazione finanziaria ad un Istituto bancario con il quale veniva recuperata l’imposta di registro in misura proporzionale applicata sugli interessi moratori oggetto di una sentenza.
La contribuente aveva versato l’imposta in misura fissa in applicazione del principio di alternatività Iva-registro, trattandosi di operazioni di finanziamento soggette ad Iva, non solo sulla somma capitale ma altresì sugli interessi moratori, ritenuti meri accessori dell’obbligazione principale, che pertanto andavano trattati con le medesime modalità previste per il capitale.
L’Istituto di credito ricorrente vedeva accolto il ricorso in primo grado e la CTR confermava la pronuncia impugnata dall’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 40, D.P.R. n. 131/1986, art. 8, lett.b), Tariffa-Parte I allegata al TUR e art. 15, D.P.R. n. 633/1972, rilevando come le somme dovute a titolo di interessi moratori, non concorrendo a formare la base imponibile ai fini dell’Iva debbano essere invece assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad Iva.
La Suprema Corte, analizzando la vicenda, ha ritenuto corretto non discostarsi dal consolidato orientamento secondo il quale le somme dovute a titolo di interessi moratori non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’Iva, con la conseguenza che esse – ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – devono essere assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad Iva (Corte di Cassazione, sent. n. 12906/2007, n. 4748/20069). L’orientamento da ultimo seguito ha superato il precedente indirizzo secondo cui dal carattere unitario della obbligazione posta a base del decreto ingiuntivo discenderebbe il carattere unitario dell’imposizione relativa sia al capitale che agli interessi (Corte di Cassazione, sent. n 2696/2003).
Ad avviso dei Giudici, il trattamento fiscale della sorte capitale e quello degli interessi di mora deve essere differenziato poiché questi ultimi sono espressamente esclusi dal campo di applicazione dell’Iva in forza del disposto di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 633/1972.
La ratio del principio di alternatività fissato nel TUR è quella di evitare che siano assoggettate all’imposta proporzionale di registro somme già colpite dall’Iva, con conseguente duplicazione di imposizione. La medesima esigenza invece non ricorre per gli interessi moratori, esclusi dal campo di applicazione dell’Iva.
La Corte ha rilevato che il precedente orientamento non teneva in debito conto del differente trattamento fiscale normativamente disposto degli interessi moratori, benché riferiti a somme soggette ad Iva.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR, e decidendo nel merito ha dichiarato assoggettate ad imposta di registro in misura proporzionale le somme dovute a titolo di interessi moratori.