Tra le questioni attualmente più dibattute in dottrina e in giurisprudenza si segnala la problematica relativa alle richieste di rimborso della c.d. “euroritenuta” formulate dai contribuenti che hanno aderito alla procedura di collaborazione volontaria introdotta dalla legge n. 186 del 15.12.2014 e successivamente reiterata con il D.L. n. 163/2016, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 225/2016.
Una volta, infatti, perfezionata la procedura di voluntary disclosure mediante il pagamento delle somme indicate negli inviti a comparire, o mediante l’autoliquidazione, molti contribuenti che detenevano i propri capitali in Paesi europei non collaborativi hanno richiesto la restituzione di quanto versato alla Stato italiano nei medesimi periodi di imposta a titolo di euroritenuta, ricevendo tuttavia un rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Si è giunti così alla fase del contenzioso che vede, per ora, impegnate le Commissioni Tributarie di merito a decidere sulla debenza o meno del rimborso.
Al riguardo si rammenta che l’articolo 11 della Direttiva n. 2003/48/CE, occupandosi dell’imposizione fiscale dei redditi da risparmio derivanti da pagamenti sotto forma di interessi, aveva previsto la c.d. “euroritenuta” per tali proventi corrisposti nell’ambito di rapporti finanziari detenuti da soggetti residenti in Italia presso banche situate in Stati esteri che non accordavano lo scambio di informazioni dei dati fiscali; tale imposta rappresentava un prelievo aggiuntivo rispetto all’imposta ordinariamente dovuta nello Stato estero e riversato da quest’ultimo nella misura del 75% all’Italia.
L’Accordo tra la Comunità Europea e la Confederazione svizzera, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29.12.2004, ha poi stabilito misure equivalenti a quelle previste nella predetta direttiva, introducendo, anche per la Svizzera, una ritenuta sui redditi da capitale.
Il D.Lgs. n. 84/2005, che ha attuato la Direttiva n. 2003/48/CE, prevede, all’articolo 10, rubricato “Eliminazione delle doppie imposizioni” che “1. Allo scopo di eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 11 della direttiva 2003/48/CE, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, è riconosciuto al beneficiario effettivo medesimo un credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. 2. Se l’importo della ritenuta operata di cui al comma 1 è superiore all’ammontare del credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato articolo 165, il beneficiario effettivo può chiedere il rimborso, rispettivamente, dell’eccedenza o dell’intera ritenuta; in alternativa, può utilizzare la modalità di compensazione prevista dall’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.
Tale disciplina è stata modificata con l’emanazione della direttiva n. 2015/2060/UE, recepita dalla legge n. 122/2016, che ha abrogato il D.Lgs. n. 84/2005 a decorrere dal 01 gennaio 2016; tuttavia l’articolo 28, comma 6, L. n. 122/2016 prevede espressamente che “Le disposizioni dell’articolo 10 del decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84, continuano ad applicarsi con riguardo alla ritenuta alla fonte applicata nel 2016 e negli anni precedenti”.
L’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 55 del 30.12.2005, ha inoltre chiarito che l’applicazione del prelievo alla fonte da parte dallo Stato di erogazione del reddito dava diritto, in Italia, ad un credito d’imposta ai sensi dell’art. 165 del TUIR, come riportato anche nelle istruzioni fornite per la compilazione del quadro CR del modello UNICO/REDDITI persone fisiche, ferma restando la possibilità di richiedere il rimborso ai sensi dell’art. 10, D. Lgs. 84/2005.
Alla luce delle norme sopra esaminate, si sostiene che sussista il diritto al rimborso della c.d. euroritenuta avendo i contribuenti, con il perfezionamento della procedura di voluntary disclosure, provveduto a regolarizzare la detenzione delle disponibilità estere con il versamento delle relative imposte, interessi e sanzioni.
Infatti, secondo l’orientamento citato dai contribuenti, il diritto al rimborso dell’euroritenuta risulterebbe sancito in modo chiaro dall’art. 10, D.Lgs. 84/2005, come confermato dalla più recente giurisprudenza di merito che ha accolto i ricorsi presentati da medesimi contribuenti avverso il rigetto delle istanze di rimborso delle somme versate a titolo di euroritenuta, presentate successivamente alla liquidazione degli importi della voluntary disclosure.
In particolare, si segnalano sull’argomento la sentenza della Commissione Provinciale di Genova n. 1341/2/2017 del 6.11.2017, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Varese n. 309/3/2017 del 30.05.2017, nonché le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sezione XI, nn. 19-20-21 del 09.01.2018, nelle quali è appunto precisato che “Il (…) ha pagato le Euroritenute in Svizzera e le imposte in Italia a seguito della procedura di collaborazione volontaria, così essendo soggetto proprio a quella doppia imposizione, vietata dalla direttiva 2003/48/CE e dall’art. 10 D.Lgs. n. 84 del 2005. La sua istanza di rimborso è dunque legittima ed il ricorso presentato deve pertanto essere accolto”.
Si ritiene, infine, che il termine di decadenza entro cui deve essere presentata l’istanza di rimborso sia quello biennale previsto dall’articolo 21, D.Lgs. 546/92, ai sensi del quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”, termine decorrente dalla data di pagamento delle somme dovute a seguito dell’adesione alla procedura di voluntary disclosure.