Originariamente introdotta dal decreto legislativo 74 del 2000, la disciplina degli effetti penali derivanti dall’estinzione del debito tributario è stata, da ultimo, «revisionata» dagli articoli 11 e 12 del decreto legislativo 158 del 2015, che hanno rispettivamente modificato l’art. 13 (causa di esclusione della punibilità) e introdotto l’art. 13 bis (circostanza attenuante ad effetto speciale) del D.lgs. 74/2000.
Proprio in relazione agli articoli 13 e 13-bis, ci si è interrogati sulla loro natura processuale o sostanziale.
La prevalente giurisprudenza, anche di legittimità, ha stabilito la loro natura di norme processuali, con la connessa possibilità di essere applicate in via retroattiva con riferimento anche ai procedimenti in corso.
Pertanto, la nuova causa di non punibilità di cui all’art. 13, se non è ancora aperto il dibattimento di primo grado, produce i suoi effetti estintivi anche relativamente ad un reato che sia stato commesso prima del 22 ottobre 2015 (data di entrata in vigore della novella di riforma).
In senso conforme, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità con riferimento alla condizione introdotta dal decreto legge 138 del 2011, che aveva modificato l’art.13 con l’aggiunta del comma 2-bis, il quale subordinava l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. solo all’avvenuta estinzione del debito tributario.
A seguito della riforma introdotta dal D.Lgs. 158/2015, la disposizione è ora contemplata all’art. 13-bis, co. 2 del D.Lgs. 74/2000.
La Corte di Cassazione, nella recentissima sentenza n. 5448 in data 6.02.2018, ha in proposito statuito che “la norma in relazione alle condizioni di accesso al “patteggiamento” non ha una portata innovativa, perchè il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, comma 2-bis, nella formulazione introdotta dalla L. 25 giugno 1999, n. 205, art. 9, aggiunto dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 36-vicies semel, lett. m), convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, stabiliva già che, per i delitti di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, le parti possono accedere al “patteggiamento” solo ove ricorra l’attenuante prevista dai commi 1 e 2 dello stesso art. 13, e, cioè, solo se i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti – comprensivi delle sanzioni amministrative – siano stati estinti, mediante pagamento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (…)”.
In tale occasione, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare come “il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13-bis, co. 2, (…) stabilisce espressamente che, per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra (…) l’integrale pagamento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi – e sempre che non si tratti dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater. co. 1, in relazione ai quali l’integrale pagamento del debito tributario configura una causa di non punibilità – ovvero in presenza di ravvedimento operoso – ad accezione, in tal caso, dei reati di cui al D.Lgs. 74 del 2000, artt. 4 e 5, in relazione ai quali il ravvedimento operoso integra parimenti una causa di non punibilità.”
La Corte di Cassazione ha, dunque, statuito la natura processuale della previsione in commento, sottolineando come essa trovi applicazione in relazione a tutti i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della norma, indipendentemente dalla data di commissione del reato.
La modifica degli effetti discendenti dall’estinzione del debito tributario, da mera circostanza attenuante a causa di esclusione della punibilità, ha analogamente impegnato la Suprema Corte, che – chiamata a pronunciarsi sulla questione – ha prevalentemente attribuito alla novella legislativa natura processuale, consentendone l’efficacia retroattiva nell’ambito di tutti i procedimenti che, pur instauratisi e già avviati prima dell’entrata in vigore della riforma, non siano ancora stati definiti con sentenza irrevocabile.
Al riguardo, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha, in altre circostanze, optato per la natura ibrida del nuovo art. 13, ancorando le condizioni di operatività della causa di esclusione della punibilità (integrale pagamento del debito tributario) alla fase in cui verte il processo alla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40314 del 28.09.2016, ha stabilito che nei procedimenti ancora pendenti alla data di entrata in vigore della riforma dei reati tributari, il pagamento integrale del debito tributario, pur intervenuto in un momento successivo rispetto all’apertura del dibattimento di primo grado, determina la non punibilità del reato.
La Suprema Corte ha, in particolare, osservato come sussiste la “necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale”. E questo perché, a seguito della novella legislativa, l’interesse a provvedere al pagamento del debito tributario non riguarderebbe più soltanto il quantum della punibilità, ma sarebbe ulteriormente riferibile all’an della responsabilità penale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tale nuovo quadro normativo, sarebbe il principio di uguaglianza, che non tollera trattamenti differenti per situazioni uguali, ad imporre che il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, purché – nei procedimenti già in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158/2015 – avvenga prima della formazione del giudicato.
La Suprema Corte ha affermato che – ragionando diversamente – “si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di legittimità costituzionale”.
La sentenza n. 30139 del 15 giugno 2017, emessa dalla stessa Corte di Cassazione, segna invece un importante punto di rottura rispetto a quanto la Corte aveva precedentemente affermato sulla nuova causa di esclusione della punibilità introdotta dall’art. 13 del D.Lgs. 74/2000.
In questa occasione, la Cassazione ha compiuto un netto dietrofront ed abbracciato un’impostazione decisamente più restrittiva.
Ferma l’assenza di disciplina transitoria nel D.Lgs. 158/2015, e la necessità per l’interprete di orientarsi quindi secondo i criteri di successione delle leggi penali nel tempo (sostanziali o processuali, a seconda), la Suprema Corte ha distinto nella novella introdotta all’art. 13 D.lgs. 74/2000 profili di natura eterogenea: sostanziale e processuale al contempo.
La sentenza in commento ha effettuato un distinguo a seconda che le condizioni di operatività della causa di esclusione della punibilità (integrale pagamento del debito tributario) si siano avverate prima o dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Se al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento il debito tributario è stato estinto allora la clausola di esclusione della punibilità può essere fatta operare retroattivamente.
In caso contrario, ossia qualora successivamente all’apertura del dibattimento risultasse ancora un inadempimento (anche solo parziale) del debito tributario, la causa di non punibilità non potrebbe in alcun modo operare.
Diversamente, argomenta la Corte di Cassazione, si sarebbe dato luogo ad un sistema di “generalizzata rimessione in termini” potenzialmente confliggente con l’art. 3 della Costituzione, per via dell’irragionevole disparità di trattamento che si sarebbe determinata tra gli imputati il cui processo aveva già visto l’apertura del dibattimento alla data di entrata in vigore della riforma (avvantaggiati dalla possibilità di adempiere entro la sentenza definitiva) e quelli nel cui processo la dichiarazione di apertura del dibattimento non era ancora avvenuta (costretti ad adempiere entro tale scadenza processuale).