La Corte Costituzionale non prende posizione sul caso Taricco (Corte Costituzionale ordinanza n. 24/2017)

Con la ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017 la Corte Costituzionale è intervenuta sul celebre caso Taricco ed ha deciso di rinviare in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE la questione, chiedendo in sostanza alla Corte di Giustizia di avallare una lettura costituzionalmente conforme della sentenza dell’8 settembre 2015 (caso Taricco) che, se confermata, consentirebbe di superare tutti i dubbi di legittimità costituzionale posti dai giudici rimettenti.

La questione sottoposta al sindacato di legittimità costituzionale della Corte, sulla base di distinte ordinanze di rimessione della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione e della Corte di Appello di Milano, concerne l’art. 2 della legge 2 agosto 2008 n. 130 nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325 par. 1 e 2 TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Taricco dell’8 settembre 2015. In questa sentenza la Corte di Giustizia UE aveva affermato l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in materia di atti interruttivi della prescrizione, così come emergente dagli art. 160 e 161 c.p., allorquando ritenga che tale disciplina, fissando un termine massimo al corso della prescrizione pari di regola al termine prescrizionale ordinario aumentato di un quarto, non consenta allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di effettiva tutela degli interessi finanziari dell’unione Europea, imposta dall’art. 325 TFUE nei casi di frodi tributarie di rilevante entità altrimenti non punite in un numero considerevole di casi.

Secondo la Corte di Giustizia UE l’incompatibilità degli art. 160 e 161 con il diritto UE sarebbe ravvisabile sotto due punti di vista. In primo luogo, con riferimento all’art. 325, par. 1 TFUE, allorquando il giudice nazionale ritenga che dall’applicazione delle norme in materia di interruzione della prescrizione derivi, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fonte di fatti costitutivi di una frode grave in materia di IVA o di interessi finanziari dell’Unione Europea, di talchè la normativa interna impedisca l’afflizione di sanzioni effettive e dissuasive per tali condotte; in secondo luogo, con riferimento all’art. 325, par. 2 TFUE, nel caso in cui il giudice interno verifichi che la disciplina nazionale contempli per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari interni termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode (di natura e gravità comparabili) lesivi di interessi finanziari dell’UE.

A seguito della sentenza della Corte di Giustizia, la giurisprudenza nazionale ha avuto posizioni diverse talune volte alla disapplicazione diretta ed integrale degli atti interruttivi, altre fautrici di una disapplicazione solo parziale ed altre più dubbiose sulla compatibilità costituzionale della disapplicazione, fra queste ultime le ordinanze con cui la Corte di Appello di Milano e la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale. La Corte di Appello di Milano con l’ordinanza del 18 settembre 2015 ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008 n. 130 con cui viene ratificato il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, “nella parte in cui impone di applicare la disposizione di cui all’art. 325 par. 1 e 2 TFUE, dalla quale – nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia – discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli art. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l’art. 25, comma 2, Cost.”. La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione ha, a sua volta, sollevato in due occasioni (con l’ordinanza del 30 marzo 2016 e ordinanza del 31 marzo 2016) questione di legittimità costituzionale sempre dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008 n. 13 per contrasto non solo con l’art. 25, comma 2, ma anche con gli artt. 3,11, 27, comma 3, 101, comma 2, della Cost..

In particolare, secondo i giudici rimettenti, il principio di legalità in materia penale, il quale implica che le scelte relative alla punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore, sarebbe violato sotto un duplice profilo: a) per l’aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva derivante dalla disapplicazione delle norme relative agli atti interruttivi della prescrizione anche per condotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza Taricco; b) per la carenza di una normativa adeguatamente determinata, non essendo chiaro né quando le frodi debbano ritenersi gravi, né quando ricorra un numero considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione, essendone rimessa la relativa determinazione all’apprezzamento discrezionale del giudice.

La Corte Costituzionale con l’ordinanza in commento specifica come la questione consista nel valutare se quella proposta dai giudici rimettenti sia l’unica possibile applicazione dell’art. 325 TFUE ovvero sia possibile individuare “interpretazioni anche in parti differenti, tali da escludere ogni conflitto con il principio di legalità in materia penale”.

Nel decidere la questione la Corte parte da alcuni punti fermi:

·      il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione quale dato acquisito della giurisprudenza costituzionale a condizione che siano osservati i principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona;

·      l’affermazione del principio di legalità in materia penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost., quale principio supremo dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva;

·      l’affermazione della natura sostanziale nell’ordinamento penale italiano dell’istituto della prescrizione e la conseguente soggezione al principio di legalità in materia penale, dovendo pertanto essere analiticamente disciplinato nei supi presupposti applicativi, al pari del fatto-reato e della pena, da una norma di legge che vige al tempo della commissione del fatto.

Ciò premesso la Corte Costituzionale, ravvisato che esiste un’incompatibilità fra i principi sanciti dalla Costituzione e quanto affermato nella sentenza Taricco, ha scelto – in nome del principio di leale collaborazione che definisce i rapporti tra Unione Europea e Stati membri – una soluzione di natura conciliativa, nella convinzione che la Corte di Giustizia non abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dara applicazione alla regola “anche quando essa confligge con un principio cardine dell’ordinamento italiano”, limitandosi ad affermare l’applicabilità della regola tratta dall’art. 325 TFUE solo se compatibile con l’identità costituzionale dello Stato membro, demandando il vaglio di siffatta compatibilità agli organi nazionali competenti. Accogliendo tale lettura verrebbe a cessare qualsiasi profilo di contrasto e di conseguenza cadrebbero tutti i dubbi di legittimità costituzionale.

Sulla base di tali considerazioni la Corte Costituzionale ha deciso un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, sottoponendo alla Corte i seguenti quesiti di interpretazione dell’art. 325 paragrafi 1 e 2 del TFUE:

·      se l’art. 325 paragrafi 1 e 2 del TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;

·      se l’art. 325 paragrafi 1 e 2 del TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;

·      se la sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro.

Sui possibili esiti del rinvio alla Corte di Giustizia operata dalla Corte Costituzionale, l’alternativa appare ben definita: o la Corte di Giustizia, recependo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, decide di condividere l’interpretazione correttiva costituzionalmente conforme (ma nella sostanza sterilizzante) della sentenza Taricco proposta dall’ordinanza in commento (riconoscendo l’indeterminatezza del regime prescrizionale che deriverebbe da un’applicazione pedissequa del suo dictum); oppure prosegue nella sua direzione accettando il rischio che la Corte Costituzionale, recependo le condivisibili rivendicazioni di principio sul ruolo fondante del principio di legalità in materia penale nell’ordinamento italiano, possa affermare illegittimità costituzionale dell’art. 325 paragrafi 1 e 2 del TFUE.

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