Con la sentenza della Corte Costituzionale 17 giugno 2010, n. 217, sembra profilarsi l’estensione della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio.
La Corte, nell’affrontare la questione d’incostituzionalità dell’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui non prevede la possibilità di sospensione della sentenza d’appello tributaria, pur dissentendo sull’illegittimità della norma e pur confermando il proprio orientamento, già consolidatosi in precedenti pronunce vertenti sulla medesima questione, ha affermato che la stessa ben avrebbe potuto essere risolta a monte dal giudice “a quo”, con un’interpretazione adeguatrice della norma, idonea a consentire nel processo il riconoscimento della sospensione cautelare invocata.
Il fatto in breve
Nel corso di un procedimento instaurato a seguito della domanda proposta da un contribuente, al fine di ottenere in via cautelare, la sospensione dell’esecuzione di una sentenza tributaria di secondo grado, la Commissione tributaria regionale della Campania ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché, quale norma interposta all’art. 10 della Costituzione, in riferimento all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la questione di legittimità dell’art. 49, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il quale stabilisce che “Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quando disposto nel presente decreto”.
La Corte costituzionale, investita della questione, in riferimento ai parametri costituzionali invocati dal rimettente, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità sollevata e, pur confermando il proprio orientamento, ha affermato che la questione avrebbe potuto essere risolta dal giudice “a quo” mediante un’interpretazione adeguatrice della norma.
Interpretazione che avrebbe consentito nel processo la sospensione cautelare invocata.
Interpretazione adeguatrice ed essenzialità della tutela cautelare
La sentenza della Corte costituzionale n. 217/2010 rappresenta un deciso passo avanti verso il riconoscimento al contribuente della pienezza della tutela cautelare nel processo tributario, ma, tale pienezza, sarà assicurata solo quando la tutela in questione potrà essere invocata in ogni stato e grado del giudizio, così come accade nel processo civile e in quello amministrativo.
Il passo in avanti è rappresentato dal fatto che la Corte ha affermato con estrema chiarezza che la questione ad essa sottoposta, ben avrebbe potuto essere risolta a monte dal giudice “a quo”, mediante un’interpretazione adeguatrice dell’art. 49, che avrebbe consentito nel processo la sospensione cautelare invocata e reso insussistente il prospettato contrasto della disposizione con gli evocati parametri costituzionali.
In particolare, come si legge nella sentenza, la questione ad essa sottoposta dal giudice rimettente, stante la riscontrata inammissibilità della rimessione stessa, ha impedito alla Corte di procedere ad un riesame della propria giurisprudenza, in ordine all’articolo 49, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, quasi a voler dire che se la questione fosse stata sollevata in modo adeguato, in una nuova circostanza, la Corte sarebbe stata disposta a rivedere il proprio orientamento.
L’intento è sicuramente quello di offrire al contribuente la tutela giurisdizionale che l’art. 24 della Costituzione già prevede in sede civile e amministrativa, e si spiega con l’esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell’attore vittorioso.
Tutela cautelare e sospensione dell’atto impugnato
L’interrogativo che ci si pone a questo punto, è se al giudice dell’impugnazione possa essere attribuito lo stesso potere di sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato che, invece, l’articolo 47 del D.Lgs. n. 546/1992 disciplina con riferimento al giudizio di primo grado.
In questa direzione, un importante contributo è stato offerto da una precedente ordinanza della stessa Corte costituzionale, in cui si legge che “oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l’impugnazione, bensì, semmai, il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado”.
Ne consegue che l’interpretazione adeguatrice sollecitata dalla Corte costituzionale, dovrebbe riguardare non tanto l’art. 49 delle norme sul processo tributario, quanto, piuttosto, l’articolo 47, nel senso di ritenere che il procedimento di sospensione dell’atto impugnato, ivi disciplinato, sia applicabile anche ai gradi diversi dal primo.
Il dubbio che si pone, però, è se la questione in esame possa essere risolta attraverso l’interpretazione adeguatrice; oppure se il giudice “a quo” sia tenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/92.
Dal momento che appare difficile sostenere che questi dati normativi possano essere interpretati dal giudice in modo più ampliativo rispetto a quanto risulta dal loro tenore letterale, l’unica strada potenzialmente percorribile per l’effettività della tutela cautelare sembrerebbe essere quella di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle due norme in commento.
D’altra parte, però, è importante osservare che, nonostante l’art. 47 del D.Lgs. n. 546/92 faccia più volte riferimento al giudizio avanti la Commissione tributaria provinciale, questa puntualizzazione appare più una conseguenza della sua collocazione nel corpo normativo, che non il risultato della volontà del legislatore di ritagliare una disciplina applicabile esclusivamente al primo grado di giudizio.
Questi dati normativi, in sostanza, non escluderebbero che dello stesso potere sia dotato anche il giudice d’appello, il quale, infatti, non è investito di poteri menomati rispetto a quelli del giudice di primo grado, posto che, ai sensi dell’art. 61 del D.Lgs. n. 546/1992, si osservano nel processo d’appello le medesime norme dettate per il processo di primo grado.