La Corte di Cassazione con la sentenza della III Sezione Penale n. 25774 del 4 luglio 2012 interviene in un caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile appartenente ad una società coinvolta in reati tributari e fissa una serie di importanti principi in tema di rapporti fra responsabilità penale (della persona fisica) e responsabilità tributaria ed amministrativa dell’ente collettivo con specifico riferimento alle misure cautelari reali.
La fattispecie concreta
Nel corso di un procedimento penale per delitti tributari che vedeva coinvolti i soggetti apicali di una s.r.l. il G.I.P. emetteva un decreto di sequestro preventivo di un immobile rientrante nel patrimonio della s.r.l.. Il sequestro veniva adottato “per equivalente” in relazione al profitto dei citati delitti tributari relativi a più periodi d’imposta ed, altresì, richiamando l’esigenza cautelare di impedire un utilizzo criminogeno “per effetto della libera disponibilità dei beni da parte degli indagati”.
Il ricorso al Tribunale del riesame aveva esito positivo in quanto il giudice disponeva la rimozione della cautela reale per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 322-ter c.p. e per l’inapplicabilità ai delitti tributari della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi di cui al d.lgs. n. 231/2001. La Procura presentava ricorso per cassazione sul presupposto che, a fronte di un delitto tributario commesso da soggetti apicali, la società è l’effettiva destinataria del profitto dei reati sotto forma di illecito risparmio d’imposta dal momento che il patrimonio sociale non risulta depauperato delle somme che – in assenza di illeciti penali-tributari – dovevano confluire nelle casse dell’erario.
La sentenza della Corte di cassazione
La Suprema Corte ha in primo luogo stabilito che la normativa di cui al d.lgs. n. 231/2001 non può essere applicata fuori dalla sedes materiae. In applicazione del principio di legalità la Corte di cassazione ha puntualizzato che la disciplina del sequestro e della confisca anche per equivalente (rinvenibile negli artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001) è applicabile soltanto in presenza di un illecito penale rientrante nel catalogo dei reati che generano una responsabilità amministrativa dell’ente collettivo e che la tassatività delle fattispecie penali rilevanti ai fini del d.lgs. n. 231/2001 esclude la possibilità di ricorrere all’analogia.
Poiché i reati tributari non sono elencati fra quelli produttivi di una responsabilità amministrativa dell’ente, si deve escludere che le misure cautelari e sanzionatorie reali previste dal d.lgs. n. 231/2001 possano essere disposte nei confronti di una persona giuridica al di fuori delle fattispecie criminose ivi tassativamente previste. Ne consegue che per applicare ad un ente collettivo un sequestro o una confisca determinati da un reato (estraneo all’elenco) commesso da una persona fisica (apicale o non apicale) è necessario richiamare un’latra normativa che detto risultato consenta. In mancanza vale il principio di diritto secondo cui”la confisca per equivalente prevista dall’art. 19 d.lgs. n. 231/2001 è applicabile esclusivamente con riferimento ai reati previsti dall’art. 24 e seguenti del d.lgs. n. 231/2001, tra i quali non rientrano i delitti tributari”.
Ciò premesso – secondo la Suprema Corte – non deve ritenersi consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile dell’ente collettivo al cui rappresentante in posizione apicale venga attribuita la commissione di un delitto tributario.
Partendo dalla premessa – oramai unanimemente condivisa – che la confisca ex art. 322-ter c.p. abbia natura sanzionatoria penale, la Suprema Corte ha sottolineato che tale carattere afflittivo è parimenti riferibile alla confisca del profitto del reato come alla confisca per equivalente.
La confisca del profitto del reato, direttamente o per equivalente, non può che riguardare l’autore del reato tributario, perché legata alla pronuncia di una sentenza di condanna come atto terminativo del procedimento penale nei confronti della persona fisica. Ne consegue che quella che è stata pensata ed è nata come sanzione della persona fisica non può in nessun caso diventare sanzione della persona giuridica. La sentenza n. 25774 del 2012 sul punto è chiarissima: ”dalla natura di sanzione penale della confisca (per equivalente) deriva l’inapplicabilità dell’istituto nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato ex art. 27 Cost., a nulla rilevando, con riferimento alle persone giuridiche, il cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari fa parte”.
L’art. 322-ter c.p., sostiene la Corte di Cassazione, ha in sé un limite ontologico insuperabile: essendo sanzione penale, non può che colpire l’autore del reato (nella specie) tributario. L’ente collettivo non può mai essere autore di un reato; estendere la sanzione penale dalla persona fisica alla persona giuridica sarebbe contrario al principio di cui all’art. 27 Cost. perché l’ente collettivo risponderebbe penalmente di un fatto altrui (della persona fisica); l’ente risponde di un fatto proprio (colpa di organizzazione) che è sanzionato amministrativamente e che non può essere sanzionato penalmente senza violazione del principio di legalità e di personalità della responsabilità penale.
Precisato che la natura di sanzione penale è di per sé ostacolo insuperabile all’applicazione della confisca ex art. 322-ter c.p. all’ente collettivo bisogna valutare se la norma possa avere applicazione sotto profili diversi. Al riguardo la Procura ricorrente aveva sostenuto che la persona fisica autrice del reato avesse la disponibilità del bene sociale sequestrato in quanto soggetto apicale nella struttura dell’ente collettivo. La Corte, escludendo nella sostanza che gli immobili societari siano utilizzabili uti dominus dal soggetto apicale sotto processo, ha chiarito in maniera del tutto condivisibile che “ non si può confondere la disponibilità dell’immobile derivante al rapporto organico esistente tra gli indagati e la compagine societaria con la disponibilità di fatto richiesta dall’art. 322-ter c.p.”.
Infine, deve essere rilevato come l’ulteriore argomento sostenuto dalla Procura ricorrente secondo cui la persona giuridica “non poteva considerarsi estranea ai reati, avendo tratto profitto dalle frodi tributarie poste in essere dagli indagati nell’ambito del rapporto organico che li legava alla società”, è stato disatteso dalla Suprema Corte che ha squalificato il vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato definendolo ”elemento inidoneo” a fare sorgere una responsabilità amministrativa dell’ente perché il reato tributario non è reato presupposto ai fini del d.lgs. n. 231/2001, ed è parimenti inidoneo a rendere l’ente passibile di una sanzione penale, quale è la confisca, perché manca “un’espressa previsione legislativa” che lo consenta: di conseguenza non è suscettibile di confisca ex art. 322-ter c.p. un immobile appartenente all’ente collettivo.
In sostanza secondo la Corte di Cassazione il concetto di “persona (non) estranea al reato”di cui all’art. 322-ter c.p. va inteso come “persona autrice o concorrente nel reato”, che non può essere l’ente collettivo, ancorchè il reato sia stato commesso nel suo interesse e a suo vantaggio, proprio per la sua incapacità giuridica di essere soggetto attivo di un reato.