La cessione del ramo d’azienda: le sorti di autorizzazioni e licenze

La lettera dell’art. 2556, co. 2, stabilisce le formalità attraverso cui, per le imprese soggette a registrazione, deve avvenire il trasferimento della proprietà o del diritto di godimento di un’azienda.

Il particolare, regime di pubblicità previsto dal Legislatore, secondo cui detti atti di trasferimento devono essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, attribuisce speciale rilievo alla traslazione delle licenze delle autorizzazioni funzionali allo sfruttamento economico del diritto traslato.

Al riguardo, dedicato approfondimento merita la nozione di azienda, regolata dall’art. 2555 cod. civ., come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività di impresa.

Se così è, perché si possa parlare di trasferimento di ramo d’azienda, risulta necessaria che il relativo oggetto consista in un complesso di beni effettivamente ed oggettivamente organizzati per l’esercizio d’impresa.

Con specifico riferimento alle autorizzazioni ed alle licenze che risultano funzionali al pieno sfruttamento del titolo di proprietà o di godimento che ha ad oggetto l’affitto o la cessione del ramo, risulta doveroso precisare che esse, secondo la prevalente dottrina, non costituiscono bene aziendale e dunque non possono essere trasferite né monetizzate.

Questo se si considera l’autorizzazione amministrativa non come elemento costitutivo dell’azienda bensì come fattore che serve a disciplinare, nell’interesse pubblico, l’esercizio delle attività, siano esse di natura commerciale o produttiva.

Anche nella Regola n. 19 edita dal Consiglio Nazionale del Notariato si legge, infatti, tra i compiti del Notaio, la verifica dell’inserimento del contratto di trasferimento del ramo d’azienda interessato della clausola per il subentro in licenze ed autorizzazioni amministrative e per la voltura delle medesime a nome dell’acquirente, con l’eventuale previsione di una condizione risolutiva – e si badi bene, giammai, sospensiva – per il caso della mancata re-intestazione, voltura, subentro.

In proposito, giova sottolineare come, in tema di licenze ed autorizzazioni, risultino piuttosto scarne le previsioni normative funzionali a disciplinare le modalità di subentro, con la sola eccezione della licenza di pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande, per la quale la Legge prevede la presentazione di una S.C.I.A. per la realizzazione del subentro.

Sul tema, la Risoluzione n. 13477 in data 2 febbraio 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico, sulla specifica problematica, chiarisce la necessità di far riferimento al combinato disposto dell’art. 64, co. 1, del d.Lgs. 59/2010 e dell’art. 26, co. 5, del d.Lgs. 114/98, statuendo la necessità per il soggetto subentrante di procedere alla segnalazione certificata di inizio attività. La circostanziata indicazione di prassi ci consente, tuttavia, di mutuare un principio di carattere generale estendibile alle autorizzazione amministrative, contemplato dall’art. 19 della Legge 241/90, secondo cui “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato (…) il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze (…)”.

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