Nessun dubbio sulla legittimità costituzionale del comma 3, dell’articolo 57, d.p.r. n. 633/72: la previsione normativa inerente il raddoppio dei termini di accertamento ai fini IVA, in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74/2000, è pienamente conforme ai principi costituzionali.
Così ha statuito la Corte Costituzionale con sentenza n. 247 del 25 luglio 2011.
La questione di presunta incostituzionalità della norma è sorta per quella parte del testo di legge che non ne prevede l’applicabilità solo alle annualità successive al 2006 (data di entrata in vigore della disposizione in esame), né l’obbligo di presentazione dell’eventuale denuncia penale anteriormente allo spirare dei termini di accertamento di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 57.
La lacuna legislativa sembrava consentire all’Amministrazione Finanziaria, in forza di un’eventuale valutazione meramente discrezionale e incontrollabile circa l’esistenza di fatti di reato, un’irragionevole proroga o riapertura dei termini di decadenza ormai scaduti, nonché la reviviscenza di poteri accertativi già esauriti per decorso dei termini decadenziali ordinari fissati dai primi due commi del citato art. 57, con conseguente lesione dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e del diritto di difesa del contribuente.
L’applicazione retroattiva della “sanzione” del raddoppio del termine ad un fatto commesso prima del 4 luglio 2006, cioè prima della data di entrata in vigore del D.L. 223/06 che la prevede, pareva dunque violare la Costituzione a causa del pericolo di un’attività arbitraria e discrezione facente capo all’Amministrazione Finanziaria.
Sul punto la Corte Costituzionale ha fugato ogni dubbio statuendo che la norma in questione non proroga né riapre, per gli accertamenti delle imposte, termini di decadenza ormai scaduti, né lede l’esigenza di certezza di rapporti giuridici ed il diritto di difesa dei contribuenti.
Non si tratta, infatti, di “proroga” di carattere sanzionatorio di termini ordinari ma di termini fissati direttamente dalla legge ed operanti automaticamente in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia penale, per cui è da escludersi qualsiasi valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli Uffici tributari.
La Corte ha statuito, inoltre, che la norma non permette di riaprire termini ormai scaduti, perché riguarda solo periodi di imposta o successivi a quelli in corso alla data della loro entrata in vigore (4 luglio 2006) oppure ancora in corso, ma per i quali nella medesima data, non è ancora maturata la decadenza dal potere di accertamento.