Imposta di registro: la decadenza dell’Ufficio dalle azioni esecutive

La differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi) è stata tracciata dalla Corte di Cassazione, nella nota sentenza n. 19704/2015; al riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che “il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l'”estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico… contenente gli… elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dai concessionario della riscossione, che non contiene (nè, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta”.

Da tale sostanziale diversità discenderebbe la inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l’esattore carente del relativo potere) e la conseguente non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato.

Peraltro, anche l’eventuale contestazione dell’attività certificativa del concessionario in sè considerata – ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell’estratto e quanto risultante dal ruolo – avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell’estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.

La giurisprudenza, in tema di imposta di registro, è concorde nel ritenere che “(…) la prescrizione è basata sull’estinzione del diritto che, per l’inerzia del titolare, si presume abbandonato, mentre, la decadenza consiste nella necessità di compiere un determinato atto entro un termine perentorio stabilito dalla legge, oltre il quale l’atto è inefficace, senza che abbiano rilievo le situazioni soggettive che hanno determinato l’inutile decorso del termine o l’inerzia del titolare e senza possibilità di applicare alla decadenza le norme relative all’interruzione ed alla sospensione della prescrizione” (cfr. CTR Milano – Lombardia, sentenza n. 1740/2021).

 

Al riguardo, giurisprudenza inerente alle imposte sul reddito, che disciplina la prescrizione e la decadenza dell’azione dell’Ufficio all’art. 25 del d.p.r. 602/1973, è conforme nello statuire che “(…) in caso di notifica di cartella esattoriale fondata su una sentenza passata in giudicato relativa ad un atto impositivo, non sono applicabili i termini di decadenza e/o prescrizione che scandiscono i tempi dell’azione amministrativa/tributaria, ma soltanto il termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 c.c., perché il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, derivandone l’inapplicabilità del termine di decadenza di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973, che concerne la messa in esecuzione dell’atto amministrativo e presidia l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l’interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all’iniziativa unilaterale dell’ufficio”. (Cass., Sez. 5, sentenza n. 16730/2016 e, da ultimo, CTR Roma-Lazio, sentenza n. 810/2022).

Per l’imposta di registro, tuttavia, la lettera normativa non sembrerebbe offrire spazio ad interpretazioni orientate nel senso che la giurisprudenza appare tracciare in materia di imposte dirette.

Sotto il profilo della decadenza, invece, l’art. 76 del D.P.R. n. 131/1986 prevede espressamente che: “l’imposta  deve  essere richiesta, a  pena  di  decadenza, entro  il  termine  di  tre  anni decorrenti (…) dalla data della notificazione della decisione delle  commissioni  tributarie ovvero dalla data in cui la stessa e` divenuta definitiva nel caso in cui sia stato proposto ricorso avverso l’avviso di rettifica  e di liquidazione della maggiore imposta”.

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