Il trust autodichiarato di natura liquidatoria è da qualche anno uno strumento utilizzato dagli imprenditori per comporre in via stragiudiziale la crisi di impresa ed è stato oggetto di diverse pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità, oltre che del dibattito dottrinale.
Al riguardo si segnala lo Studio n. 305/2015 pubblicato dal Consiglio Nazionale del Notariato che offre sull’argomento diversi spunti di riflessione utili sia ai professionisti (essendo indirizzato ovviamente ai notai) ma anche ai privati che volessero cimentarsi nell’istituzione di un trust liquidatorio.
Nel documento si distinguono diverse tipologie di trust liquidatorio, a seconda della gravità della crisi attraversata dall’impresa e della finalità, più o meno lecita, della forma di trust adottato:
1) trust “protettivo”, istituito in via preventiva quando l’impresa è ancora in bonis, con cui l’imprenditore destina alcuni beni alla soddisfazione di uno o più creditori individuati al fine di rassicurarli ed evitare eventuali azioni esecutive su beni necessari per proseguitre l’attività;
2) trust “di salvataggio”, istituito in presenza di una crisi superabile, finalizzato ad evitare il fallimento ed a favorire soluzioni alternative e che può prevedere anche il conferimento di beni personali dell’imprenditore;
3) trust “puramente liquidatorio”, finalizzato a realizzare la liquidazione dell’impresa sotto il controllo del trustee;
4) trust “falsamente liquidatorio”, istituito in presenza di una crisi irreversibile e finalizzato ad ostacolare il soddisfacimento dei creditori e posticipare il fallimento.
La suddivisione nelle richiamate categorie si ritrova anche nella giurisprudenza che si è occupata dell’argomento.
In particolare, il Tribunale di Forlì con la pronuncia del 5 febbraio 2015 si è espresso in tema di trust di salvataggio statuendo che è meritevole il trust liquidatorio con il quale il fideiussore di società, in procinto di presentare una domanda di concordato preventivo, apponga sui propri beni un vincolo di destinazione a favore dei creditori del concordato. Secondo il Giudice “Detto trust persegue, infatti, la finalità di rassicurare i creditori sulla non dispersione del patrimonio personale del fideiussore, e la segregazione (conseguente alla destinazione) non persegue il mero intento di distogliere dai creditori il patrimonio del disponente per renderlo inattaccabile ma quello di facilitare la procedura di concordato, assicurando ai creditori una parità di trattamento”.
Al contrario, il Tribunale di Milano nella pronuncia del 17 gennaio 2015 ha sancito l’inesistenza giuridica e l’inefficacia di un trust liquidatorio – nonché la nullità del conseguente trasferimento dei beni al trustee – nel caso in cui la segregazione del patrimonio aziendale, posta in essere al fine di liquidare l’azienda, aveva avuto “l’effetto di sostituirsi alla procedura fallimentare sopravvenuta, non permettendo di fatto ai creditori la condivisione del governo del patrimonio trasferito al trustee”. Il trust è stato quindi ritenuto incompatibile con le norme di diritto pubblico in materia di procedure concorsuali.
Allo stesso modo, il Tribunale di Napoli con pronuncia del 03 marzo 2014 ha ritenuto che il trust liquidatorio istituito da un’impresa in condizioni di dissesto economico – tale da doverla indurre a presentare un’istanza di fallimento in proprio – fosse affetto da nullità ab origine in quanto “elusivo della disciplina fallimentare ed in particolare delle norme inderogabili che presiedono alla liquidazione concorsuale”.
La Corte di Cassazione si è espressa sull’argomento con la nota sentenza n. 10105 del 09 maggio 2014 in una vicenda in cui il liquidatore di una società in stato di decozione aveva istituito un trust nominandosi quale trustee e conferendovi l’intero patrimonio aziendale.
La società era stata quindi cancellata dal Registro delle Imprese ed il Tribunale di Roma ne aveva dichiarato il fallimento, considerando il trust nullo in quanto avrebbe realizzato un effetto vietato dall’ordinamento, ossia la sottrazione della liquidazione dei beni del fallito agli organi della procedura fallimentare.
Era stato proposto reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, respinto dalla Corte di appello, pertanto la vicenda giungeva in Cassazione.
La Suprema Corte, pur rigettando il ricorso avverso la sentenza di appello, ha riconosciuto che il trust liquidatorio interno non può ritenersi di per sé illegittimo, ma la sua validità deve essere verificata caso per caso. In particolare, deve essere valutata non tanto la “causa astratta” del trust esplicitata al momento dell’istituzione, bensì la causa concreta, ossia lo scopo effettivamente perseguito dal trust.
La Corte ha infatti precisato che “Ove il trust intervenga con finalità di liquidazione del patrimonio sociale segregato, in astratto tre le situazioni che possono configurarsi: a) il trust viene concluso per sostituire in toto la procedura liquidatoria, al fine di realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recuperare l’attivo, pagare il passivo, ripartire il residuo e cancellare la società; b) il trust è concluso quale alternativa alle misure concordate di risoluzione della crisi d’impresa (c.d. trust endo-concorsuale); c) il trust viene a sostituirsi alla procedura fallimentare ed impedisce lo spossessamento dell’imprenditore insolvente (c.d. trust anticoncorsuale)” .
Secondo la Cassazione, risulta quindi meritevole di riconoscimento il trust la cui causa concreta sia da individuarsi nell’intento di favorire la liquidazione della società, perseguendo con altri mezzi l’obiettivo di realizzare l’attivo, pagare il passivo e ripartire l’avanzo (il c.d. trust “protettivo”), nonché quello che si pone quale alternativa alle misure concordate di risoluzione della crisi d’impresa (c.d. trust endo-concorsuale).
Al riguardo, nella sentenza si legge che “Nel primo caso, potrebbe dirsi lo strumento vietato, qualora si esiga che esso, per essere riconosciuto nel nostro ordinamento, assicuri un quid pluris rispetto a quelli già a disposizione dell’autonomia privata nel diritto interno. Non sembra però che l’ordinamento imponga questo limite, alla luce del sistema rinnovato dalle riforme attuate negli ultimi anni, che ammettono la gestione concordata delle stesse crisi d’impresa. Nelle altre due fattispecie, poi, la causa concreta va sottoposta ad un vaglio particolarmente attento e, in caso di esito negativo, il trust sarà non riconoscibile, non potendo l’ordinamento fornire tutela ad un regolamento di interessi che, pur veicolato da negozio in astratto riconoscibile in forza di convenzione internazionale, in concreto contrasti con i fini di cui siano espressione norme imperative interne”.
Secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte, deve pertanto ritenersi inesistente un trust sostitutivo della procedura fallimentare, quando la situazione d’insolvenza si sia già verificata: il patrimonio del debitore non può infatti essere sottratto alla procedura pubblicistica di liquidazione, poiché verrebbero così violate tutte quelle norme che regolano le ipotesi di crisi di impresa poste a tutela dei creditori.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso contro la sentenza di appello precisando che “Il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito, ogni volta che sia dichiarato il fallimento per essere accertata l’insolvenza del soggetto, ove l’insolvenza preesistesse all’atto istitutivo. Dalla dichiarazione di fallimento deriva, quindi, l’integrale non riconoscimento del trust, ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. e) della Convenzione, ponendosi esso oggettivamente in contrasto con il principio di tutela del ceto creditorio e per il fatto stesso che non consente il normale svolgimento della procedura a causa dell’effetto segregativo, il quale impedirebbe al curatore di amministrare e liquidare l’azienda ed, in generale, i beni conferiti in trust.“.
In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte dalla giurisprudenza di merito e legittimità, è possibile affermare che il trust interno è di per sé valido ed efficace, mentre il metodo per distinguere trust liquidatori legittimi da quelli nulli, oltre ovviamente a verificare l’eventuale violazione di norme di diritto, è legato alla valutazione dello scopo perseguito dal trust nella fattispecie concreta che, pertanto, deve essere analizzato caso per caso.