Il trasferimento all’estero della società decotta non preclude la pronuncia di fallimento da parte del giudice italiano

 

Nella sentenza n. 19978 emessa in data 23 settembre 2014 le Sezioni Unite della Cassazione affrontano la questione della giurisdizione del giudice italiano con riguardo all’istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, già costituita in Italia, che, dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, ha trasferito all’estero la sede legale.

La vicenda trae origine dal fallimento di una società pronunciata dal Tribunale di Modena avverso la quale il legale rappresentate della stessa proponeva reclamo alla Corte di Appello di Bologna.

Il reclamo era affidato a tre motivi: i) nullità della notifica dell’istanza di fallimento eseguita con il rito degli irreperibili ai sensi dell’art. 143 c.p.c.; ii) difetto di giurisdizione del giudice italiano, avendo la società trasferito la propria attività all’estero; iii) insussistenza dei presupposti di cui all’art. 1 della Legge Fallimentare per la dichiarazione di fallimento.

La Corte territoriale, ricostruendo i numerosi accessi effettuati dall’Ufficiale Giudiziario presso la residenza del legale rappresentante della società, accertava che effettivamente alla residenza anagrafica non corrispondeva più la reale residenza del legale rappresentante della reclamante, conseguentemente rigettava il primo motivo di reclamo.

Circa il secondo motivo di impugnazione, la Corte riteneva inammissibile la querela di falso proposta avverso le notifiche effettuate poiché, a fronte della residenza anagrafica risultante dai documenti prodotti e dal documento di identità, il reclamante non aveva fornito prova circa la effettiva corrispondenza della residenza di fatto a tali dati meramente formali. Posto quanto detto, anche la dedotta carenza di giurisdizione era da rigettare in quanto la fittizietà del trasferimento all’estero affermata dal Tribunale di Modena e basata su plurimi indizi gravi, precisi e concordanti, non era stata concretamente contestata.

In ultimo, la Corte di Appello confermava la sussistenza dello stato di dissesto irreversibile della Società ed i requisiti dimensionali.

Non avendo ottenuto ragione in sede di reclamo la Società propone ricorso per cassazione deducendo, in primo luogo, la violazione delle norme sulle notifiche disposte dagli artt. 140 e 143 c.p.c., sostenendo che la notifica secondo il rito degli irreperibili non può essere effettuata finché il destinatario risulta residente in un dato luogo.

Le Sezioni Unite, a riguardo, richiamano un principio giurisprudenziale costantemente affermato dalla stessa Corte, secondo il quale ai fini della determinazione del luogo di residenza o dimora della destinataria di una notifica rileva esclusivamente il luogo ove essa dimora di fatto in modo abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo, potendo essere superate da prova contraria desumibile da qualsiasi fonte di convincimento liberamente apprezzabile dal giudice di merito (cfr. Corte di Cassazione, sentenze n. 15938/08, n. 26985/09 n. 11550/13).

Ad avviso dei Supremi giudici la pronuncia impugnata è da ritenersi adeguatamente motivata sul punto, avendo dato contezza della mancata corrispondenza tra dimora abituale e certificazioni anagrafiche, e alla luce del principio espresso non può darsi rilievo alla contestata applicazione del rito ex art. 143 c.p.c.

I giudici rigettano altresì il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta vizio motivazionale laddove è dichiarata inammissibile la querela di falso presentata nei confronti delle notifiche, rilevando che sostanzialmente si tratta di una riproposizione del primo motivo per cui nel dichiararne l’inammissibilità per genericità ed infondatezza rimanda alle considerazioni già espresse.

Le S.S.U.U. affrontano infine la questione più rilevante oggetto del terzo motivo di ricorso, che lamenta insufficiente motivazione in ordine al ritenuto carattere fittizio del trasferimento all’estero della sede societaria ed alla conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice italiano.

I Giudici affermano che in ordine alla dichiarazione di apertura della procedura fallimentare, il trasferimento della sede in uno Stato extracomunitario, benché anteriore al deposito dell’istanza di fallimento, non esclude la giurisdizione italiana. La stessa è inderogabile ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge fallimentare, vigenti ratione temporis, salva l’applicabilità delle convenzioni internazionali o le norme comunitarie, nonché dell’art. 25 della legge n. 218/1995, i quali escludono la giurisdizione del giudice italiano solo in caso di effettivo e tempestivo trasferimento.

Ad avviso dei Giudici tali caratteristiche non sussistono in un trasferimento effettuato dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, nel caso in cui i soci, il legale rappresentante ovvero chi ha maggiormente operato per la società siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo Stato straniero, circostanze che lasciano intendere che la decisione di trasferimento è preordinata allo scopo di sottrarre la società dal rischio di una probabile pronuncia di fallimento.

Il ricorso viene quindi rigettato anche su tale punto poiché secondo gli Ermellini nel caso di specie la Corte di Appello ha correttamente applicato i principi enunciati ed ha in fatto desunto la fittizietà del trasferimento da numerosi elementi risultanti in giudizio.

Articoli Recenti

L’obbligo degli Uffici di dare esecuzione alle sentenze tributarie

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 156/2015 all’articolo 67-bis del D.Lgs. 546/1992, tale previsione stabilisce che le sentenze delle commissioni tributarie (oggi, per effetto della Legge n. 130/2022, corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado) sono esecutive. Già anteriormente al D.Lgs. 156/2015, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che l’efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi fosse già riconosciuta dal sistema. Essa doveva desumersi, oltre che dal generale rinvio effettuato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile, e quindi anche all’articolo 282 c.p.c., anche sulla base dell’articolo 68 del menzionato D.Lgs. 546/92.

Leggi articolo
error: Il sito è protetto da copyright!