Il sequestro per equivalente nei reati tributari

In tema di reati tributari, assistiamo negli ultimi anni alla progressiva dilatazione dello spettro di applicazioni delle operazioni di sequestro, nelle principali forme oggi permesse dall’ordinamento: diretto, per equivalente, in forma allargata.

A livello operativo, siamo spettatori da anni di una crescente applicazione ad opera degli Inquirenti, per fortuna mitigata dagli interventi della giurisprudenza anche di legittimità, che rischia di sfociare nell’applicazione di inammissibili presunzioni che legittimano, senza troppe garanzie, l’ablazione dell’intero patrimonio dell’indagato

Nel caso di sequestro per equivalente, per esempio, la Cassazione, in una storica sentenza degli anni ’80, aveva avuto modo di precisare che “la confisca, anche se obbligatoria, non può essere disposta nei confronti di chi sia riconosciuto estraneo al reato. Nel caso di cose in comproprietà tra condannato ed estraneo la misura di sicurezza patrimoniale di cui all’art. 240 c.p. ha effetto soltanto per la quota di comproprietà di spettanza del condannato, o di chiunque altro sia riconosciuto non estraneo al reato”.

Ciò a testimoniare l’inscindibile e funzionale collegamento della misura cautelare alla sanzione definitiva.

Allo stesso modo, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che l’applicazione della confisca “non può pregiudicare i soggetti terzi estranei al reato” (cfr. Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 6894 del 2011), in quanto ciò costituirebbe un indebito arricchimento del reo, la cui pena viene espiata da un altro soggetto.  

Trattando il tipico esempio di un sequestro coinvolgente una somma di denaro presente su un conto cointestato, la Giurisprudenza, anche di legittimità, ha statuito sia possibile superare la presunzione di contitolarità derivante dalla cointestazione, attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – da parte dell’intestatario che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 4496 del 24/02/2010, Rv. 611861; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 18777 del 23/09/2015, Rv. 637049; v. anche Cass. civ., Sez. 2, Sentenza n. 77 del 04/01/2018, Rv. 646663).

Proprio in considerazione della facoltà per il cointestatario di disporre dell’intero saldo attivo esistente sul conto corrente comune, fatti salvi i suoi rapporti con l’altro contitolare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sì affermato che può essere disposto il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p., dell’intera somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, “ferma restando la successiva possibilità di procedere a un effettivo accertamento dei beni che siano di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato” (Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio – 3 luglio 2019, n. 29079).

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