Il fondo comune di investimento come patrimonio destinato della società di gestione

Nell’ultimo trentennio si è assistito ad un complesso dibattito relativo alla natura giuridica dei fondi comuni di investimento, incentrato sulla questione se sia possibile configurare una autonoma soggettività giuridica dei medesimi o se questi costituiscano, al contrario, nient’altro che patrimoni separati della società che li ha istituiti.

La suddetta questione emerge, in particolare, dal riconoscimento di come, anche in assenza della formale attribuzione della personalità, un ente possa essere considerato centro d’imputazione di rapporti giuridici e, per ciò stesso, titolare di obblighi e diritti, come nel caso delle associazioni non riconosciute o delle società di persone.

L’insistenza del legislatore nel sottolineare l’autonomia del fondo comune di investimento è sicuramente frutto della preoccupazione di assicurare una tutela forte agli interessi degli investitori, evitando loro il rischio di vedere intaccato il patrimonio del fondo da possibili azioni di terzi.

L’esigenza di evitare la confusione dei patrimoni e degli interessi tra società di gestione e beneficiari del fondo non sembra, tuttavia, presupporre necessariamente la creazione di un nuovo soggetto di diritto. Nessuna espressa indicazione è infatti data in merito alla titolarità dei beni facenti parte del patrimonio del fondo e il concetto di autonomia, così insistentemente e volutamente sottolineato, da solo non può essere indizio della sussistenza di una soggettività giuridica del fondo di investimento.

Anche in dottrina, prima dell’introduzione della normativa in tema di fondi di investimento, era sorto un vivace dibattito sulla natura di tali fondi e sulla titolarità dei beni inerenti gli stessi. In seguito, tuttavia, all’introduzione della disciplina compiuta in tema di organismi di investimento collettivo del risparmio, gli osservatori sono stati concordi nel ritenere che tale disputa fosse divenuta meramente speculativa, considerando esaustiva la disciplina di legge e, di conseguenza, inutile una definizione in termini dogmatici.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16605 del 15 luglio 2010, ha invece dovuto affrontare una vicenda processuale la cui soluzione non poteva derivare pacificamente da previsioni normative e, per il raggiungimento della quale, è risultata essenziale la qualificazione in termini soggettivi del fondo.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 16605 del 15 luglio 2010

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha escluso che sia configurabile in capo al fondo comune di investimento un’autonoma soggettività giuridica, ravvisando, al contrario, nello stesso un patrimonio destinato della società di gestione che lo ha istituito.

In particolare, analizzando la lettera della legge, la Corte ha argomentato che “nell’uso dei termini “autonomia”, “distinzione” o “separazione”, riferiti al patrimonio del fondo comune, il legislatore non pare invero aver prestato molta attenzione alle diverse sfumature di significato che quei termini possono assumere, onde non sembra azzardato affermare che quei termini siano stati adoperati come equivalenti“.

Un’ulteriore argomentazione della Suprema Corte è basata sul concetto di autonomia. Secondo il ragionamento sviluppato dai giudici di piazza Cavour infatti, “se per autonomia s’intende il potere di un soggetto di autodeterminare – almeno parzialmente, ma in modo significativo – le proprie scelte e le linee guida del proprio agire, è di immediata evidenza che i fondi comuni ne sono quasi del tutto privi…ma ciò che rende più di ogni altra cosa difficile configurare il fondo comune alla stregua di un autonomo soggetto di diritto è l’assenza di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, quale ad esempio si riscontra nelle associazioni o nelle società di persone“.

All’esito del suesposto articolato ragionamento, i Giudici di legittimità concludono quindi che “i fondi comuni d’investimento costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio che li ha istituiti, con la conseguenza che, in caso di acquisto immobiliare operato nell’interesse di un fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato alla suindicata società di gestione“.

Il riferimento proposto dalla Corte ai patrimoni destinati di cui agli artt. 2447 bis e ss. c.c. non sembra, in ogni caso, consentire di ricondurre propriamente la situazione giuridica dei beni del fondo ad una fattispecie tipica prevista dal nostro ordinamento.

Con riferimento ai fondi comuni di investimento, traspare infatti la scissione tra una “titolarità formale” dei beni, posta in capo alla società di gestione del risparmio, e una “titolarità sostanziale” attribuita, invece, ai partecipanti al fondo. Tale configurazione è, al contrario, estranea alla separazione che si realizza mediante il ricorso all’istituto dei patrimoni destinati, dove non si riscontra alcuna distinzione tra titolarità formale e sostanziale dei beni, i quali permangono nell’effettiva titolarità del soggetto dal quale il patrimonio promana.

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