I Modelli Organizzativi 231 e la prevenzione degli illeciti fiscali: verso la “metanalisi” di clienti e fornitori

L’articolo 39 del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2019, n. 157, oltre a prevedere un inasprimento delle pene per una serie di reati tributari e introdurre l’ipotesi di confisca allargata nei casi di contestazione in disamina, ha ufficialmente annoverato gli illeciti fiscali tra quelli ai quali consegue una responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, ai sensi del d.Lgs. 231/2001, prevista dall’art. 25-quinquiesdecies del medesimo Decreto.

Con il d.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75, è stato nuovamente arricchito il d.Lgs. 231/01, con l’ulteriore modifica dell’appena introdotto art. 25-quinquiesdecies, il cui comma 1-bis ora prevede – in relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro – l’applicazione all’Ente di una serie di specifiche sanzioni.

Sebbene le fattispecie di reato, dal cui compimento è fatta derivare la responsabilità amministrativa dell’ente, siano quelle espressamente e tassativamente richiamate dal d.Lgs. 231/2001 e successive modifiche ed integrazioni, non è improbabile ipotizzare una estensione delle condotte astrattamente rilevanti, avuto riguardo al carattere anti-frode delle novelle modificative del Decreto.

Allo scopo di preservare la Società dal rischio reato tributario, occorre – a parere di chi scrive –  individuare, in stretta sinergia con le procedure di controllo interno all’azienda, un compiuto decalogo di condotta in ordine alle procedure di selezione dei fornitori e circa i rapporti con talune specifiche categorie di clienti, che devono essere orientate alla massima diligenza, trovando specifica tipizzazione nell’ambito delle procedure di controllo interno della Società, cui si fa integrale rimando per le indicazioni di dettaglio e per quanto non disciplinato dal protocollo redatto a norma del d.Lgs. n. 231/01.

Più nello specifico, in tema di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria, si evidenzia come, con l’entrata in vigore dell’art. 45-bis del Regolamento UE 282/2011, introdotto dal Regolamento UE 2018/1912, siano stati individuati i mezzi di prova per considerare che i beni siano spediti/trasportati dal territorio dello stato membro di cessione a quello di arrivo, al fine di armonizzare le condizioni alle quali la relativa, connessa esenzione può realizzarsi.

Al riguardo, si presume che i beni siano stati spediti/trasportati a partire dallo Stato membro di partenza verso lo Stato membro di arrivo qualora il venditore certifichi che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da un terzo per suo conto e sia in possesso di elementi di prova non contradditori rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal venditore e dall’acquirente, così riassumibili a titolo esemplificativo:

  • documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, per esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma del destinatario, una polizza di carico o la fattura relativa al trasporto aereo oppure la fattura dello spedizioniere;
  • sono stati spediti/trasportati dal cedente, direttamente o da terzi che agiscono per suo conto;
  • sono stati spediti/ trasportati dal cessionario o da terzi per suo conto (caso della clausola ex work);
  • polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o documenti bancari che attestano il pagamento relativo alla spedizione o il trasporto dei beni;
  • documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Membro di destinazione;
  • ricevuta rilasciata da un depositario nello stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni nello Stato di destinazione.

Con particolare riferimento, invece, ai rapporti con la clientela, la Società sarà chiamata ad adottare ogni necessaria cautela per:

  • verificare la sussistenza e la corrispondenza a realtà di eventuali dichiarazioni di intento resa dal cessionario, qualificatosi ad esempio come esportatore abituale, attraverso l’accertamento in ordine all’avvenuto invio di detta dichiarazione all’Agenzia delle Entrate;
  • prevedere, laddove la qualifica soggettiva del cliente preveda specifiche eccezioni alla normativa fiscale, la redazione di dedicate intese contrattuali, utili alla tipizzazione di ogni fase della trattativa commerciale;
  • acquisire e detenere, per un periodo non inferiore ai 10 anni, traccia dei contatti intercorsi, anche per il tramite di propri agenti o collaboratori esterni.

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L’obbligo degli Uffici di dare esecuzione alle sentenze tributarie

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 156/2015 all’articolo 67-bis del D.Lgs. 546/1992, tale previsione stabilisce che le sentenze delle commissioni tributarie (oggi, per effetto della Legge n. 130/2022, corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado) sono esecutive. Già anteriormente al D.Lgs. 156/2015, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che l’efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi fosse già riconosciuta dal sistema. Essa doveva desumersi, oltre che dal generale rinvio effettuato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile, e quindi anche all’articolo 282 c.p.c., anche sulla base dell’articolo 68 del menzionato D.Lgs. 546/92.

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