L’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000 è stato sostituito ad opera dell’art. 11 del d.lgs. n. 158/2015, ed è oggi rubricato: ”Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario”. La nuova norma prevede, al comma 1, che i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-ter e di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 non sono punibili qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprensivi di sanzioni amministrative e interessi, vengano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Tale disposizione va letta in combinato disposto con il terzo comma, in base al quale, quando (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, il giudice deve concedere un termine di tre mesi, prorogabile al massimo di ulteriori tre mesi, per consentire il pagamento del debito tributario residuo. La relazione ministeriale alla legge di riforma ha individuato la ratio della norma nella “scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale: in questi casi infatti il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito, risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative”.
Il Tribunale di Treviso con ordinanza del 23.02.2016 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, d.lgs. n. 74/2000, come riformulato dal d.lgs. n. 158/2015, in quanto tale previsione – ed in particolare l’imposizione di un termine rigido di tre o sei mesi per completare l’estinzione del debito tributario, e quindi godere della causa di non punibilità per il reato fiscale – sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.
Nel caso di specie l’imputato al momento dell’apertura del dibattimento aveva in corso una rateazione del pagamento del debito fiscale – concessa nell’ambito di una procedura di concordato preventivo – per cui il debito tributario era in fase di estinzione mediante rateazione, ma la concessione del termine di tre mesi (o sei mesi se prorogato) sarebbe stata in ogni caso insufficiente a permettere all’imputato di usufruire della causa di non punibilità, in quanto l’integrale pagamento dell’importo dovuto sarebbe avvenuto ben oltre di sei mesi previsti dalla norma. IL Giudice di Treviso ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, ritenendo tale norma, nella parte in cui non consente, almeno in determinati casi (quale quello della concessione della rateazione nell’ambito di una procedura di concordato preventivo), di concedere un termine più lungo, coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
In relazione alla non manifesta infondatezza della questione il Tribunale di Treviso afferma in primo luogo l’esistenza di una “irragionevolezza logica” della norma in esame, derivante dal fatto che, in determinate circostanze, le procedure di adesione consentono una rateazione anche quadriennale o decennale del debito fiscale, così da rendere del tutto incongrua la previsione da parte dell’art. 13 di un termine semestrale che di fatto costringerebbe il contribuente-imputato a rinunciare ai più dilatati termini che la disciplina tributaria gli avrebbe assicurato; il che vanificherebbe l’intento agevolativo che ha ispirato l’autore della riforma, ponendosi in contrasto con la ratio della causa di non punibilità.
Ma la norma – secondo il Giudice di Treviso – presenta anche una “irragionevolezza giuridica” che integra una violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto diversi profili consistenti:
- nel fatto che la possibilità di accedere alla causa di non punibilità viene fatta dipendere da variabili che non dipendono dall’imputato, come ad esempio la velocità con cui viene esercitata l’azione penale;
- nel fatto che vengono trattati in modo uguale soggetti in situazioni assai differenti: da un lato, coloro che hanno la possibilità di scegliere di rinunciare alla rateizzazione e di versare il rimanente del debito fiscale entro il termine di sei mesi imposto dall’art. 13, comma 3, e, dall’altro lato, coloro che hanno l’obbligo di rispettare quanto previsto in sede di concordato preventivo, ove ogni debito deve essere pagato nell’ordine, nella misura, nei tempi e con le modalità stabilite nel piano di concordato a pena di andare incontro alla risoluzione del concordato stesso;
- nella circostanza che, considerato che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che se nell’ambito del concordato è prevista una dilazione di pagamento del debito tributario, di ciò si deve tenere conto al fine di escludere la responsabilità penale nel caso in cui la rateazione implichi il mancato rispetto dei termini di versamento non ancora scaduti e stabiliti da norme incriminatrici, quella stessa dilazione non deve rappresentare un ostacolo alla possibilità di giovarsi della causa di non punibilità in esame.
Secondo il Tribunale di Treviso la norma si porrebbe in contrasto anche con l’art. 24 della Costituzione che tutela il diritto di difesa in quanto risulta irragionevolmente preclusa all’imputato la possibilità di avvalersi in giudizio di un’opzione difensiva da cui discende la non punibilità per il fatto contestato.
L’accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Treviso comporterebbe un notevole ampliamento della facoltà di usufruire della nuova esimente di cui all’art. 13, non risultando più il giudice vincolato a termini temporali massimi nella concessione di proroghe all’apertura del dibattimento, in presenza di piani di rateazione a lungo termine, da cui possa dipendere la non punibilità dell’imputato. In tale modo risulta evidente che gli effetti premiali e deflattivi della riforma risulterebbero notevolmente intensificati, e sarebbe ancora più accentuato il divario rispetto alla disciplina previgente. Quest’ultima, infatti, esclusa in radice l’ipotesi di prevedere una causa di non punibilità, contemplava – in caso di pagamento del debito tributario entro la data di apertura del dibattimento anche mediante procedure conciliative o di adesione all’accertamento – una mera circostanza attenuante ad effetto comune (cui si aggiungeva la non applicabilità delle pene accessorie), per godere della quale la giurisprudenza di legittimità richiedeva l’integrale pagamento di quanto dovuto all’erario, non ritenendo sufficiente la mera ammissione alla procedura di rateazione del debito fiscale.