Negli ultimi anni si è assistito ad una considerevole proliferazione delle costituzioni di fondo patrimoniale, istituto disciplinato dagli artt. 167 – 171 del codice civile, da parte di coniugi desiderosi di tutelare la propria famiglia da eventi imprevisti di carattere economico-finanziario, suscettibili di metterne in pericolo l’integrità patrimoniale.
In particolare, il fondo rappresenta un veicolo volto all’assolvimento del c.d. “dovere di contribuzione” stabilito dall’art. 143 c.c., in base al quale i coniugi sono chiamati, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e capacità di lavoro, a mettere a disposizione della famiglia i rispettivi redditi o beni, al fine di soddisfarne i bisogni immediati e futuri secondo l’indirizzo di vita concordato (art. 144 c.c.).
L’istituto del fondo patrimoniale ha trovato introduzione nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia attuata dalla legge n. 151 del 19 maggio 1975 (artt. 48 – 54).
Finalità che si è voluta perseguire con la previsione di detto istituto è stata quella di garantire una maggiore sicurezza economica e, conseguentemente, stabilità sul piano patrimoniale al nucleo familiare, mediante l’imposizione di un vincolo sui beni che rende il patrimonio a ciò destinato aggredibile esclusivamente per il pagamento dei debiti contratti in relazione ai bisogni della famiglia.
Fin da subito tuttavia, a partire dall’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, la disciplina del fondo patrimoniale ha costituito oggetto, specialmente in dottrina, di profonde critiche, tese ad evidenziare le numerose incertezze sul piano applicativo dalla stessa scaturenti.
Si è rilevato innanzitutto come, pur avendo il legislatore introdotto nel Capo dedicato al regime patrimoniale della famiglia una sezione specifica intitolata “Del fondo patrimoniale”, manchi nel testo legislativo una definizione esplicita della figura in esame.
Con riferimento poi ai profili salienti dell’istituto, così come previsti in ambito civilistico, occorre distinguere, ai sensi dell’art. 167 c.c., i diversi modi di costituzione del fondo, ovvero: 1) atto inter vivos da parte di uno solo dei coniugi; 2) atto inter vivos da parte di entrambi i coniugi; 3) atto inter vivos da parte di un terzo; 4) atto mortis causa da parte del terzo. Nei primi tre casi la costituzione deve necessariamente avvenire per mezzo di atto notarile pubblico, sottoscritto da uno o da entrambi i coniugi, o da parte di un terzo, che normalmente è uno dei genitori dei coniugi stessi, il quale destina uno o più beni a fondo patrimoniale della famiglia del figlio.
Nell’ipotesi in cui il fondo venga costituito per atto inter vivos da parte di terzo, l’art. 167 c. 2 c.c. sancisce poi espressamente come la costituzione si perfezioni con l’accettazione da parte dei coniugi, la quale deve anch’essa attuarsi con le formalità dell’atto pubblico. L’accettazione è requisito di perfezionamento della fattispecie e pertanto, fino a che questa non intervenga, i beni permangono nella libera e completa disponibilità del terzo. Nel caso invece di costituzione da parte di uno solo dei coniugi, si è posta la questione relativa alla necessità o meno dell’accettazione da parte dell’altro coniuge. Per testamento, infine, il fondo patrimoniale può essere costituito solo da un terzo. Come visto infatti, il fondo non può essere costituito quando il rapporto di coniugio sia già cessato.
Dall’analisi dell’art. 167 c.c., si evince come nel fondo patrimoniale possano confluire esclusivamente determinate tipologie di beni e precisamente: beni immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito. Nonostante l’apparente chiarezza del dettato normativo, numerose sono state le questioni sollevate in dottrina e affrontate dalla giurisprudenza con riferimento ai beni conferibili nel fondo patrimoniale. Si è indagata, in particolare, la conferibilità nel fondo di un’azienda o di quote di società. Altro aspetto particolarmente controverso ha riguardato la possibilità di conferire beni futuri appartenenti a taluna delle categorie di cui all’art. 167 c.c..
Il fondo patrimoniale riceve la propria peculiare disciplina in ragione della finalità cui è rivolto, ovvero quella di vincolare determinati beni al soddisfacimento delle esigenze familiari. Lo scopo di tutela risulta, in particolare, evidente dall’analisi degli artt. 168, 169 e 170 del codice civile. In base alle norme richiamate, è infatti posto un duplice ordine di limiti con riferimento ai beni destinati al fondo: da una lato all’amministrazione e all’alienzazione degli stessi e dall’altro all’esecuzione da parte di terzi creditori.
Di particolare rilevanza è quanto stabilito dall’art. 170 c.c., in base al quale “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di esso non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Il disposto dell’art. 170 c.c. ha dato, nel tempo, adito a frequenti e rilevanti questioni ermeneutiche. Ci si è innanzitutto chiesti, da un punto di vista temporale, se il limite stabilito da tale norma potesse operare solo con riguardo alle obbligazioni contratte, nell’interesse della famiglia, in un momento successivo alla costituzione del fondo, ovvero se, al contrario, questo rilevasse anche con riferimento alle obbligazioni antecedenti a tale atto. Altra questione che si è posta di fronte agli osservatori è stata quella relativa alla possibilità di procedere all’esecuzione sui beni conferiti in fondo patrimoniale anche per il soddisfacimento di obbligazioni di origine extracontrattuale, quali quelle derivanti da fatto illecito, la cui fonte avesse inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia. Sempre con riferimento alla distinzione fondata sulla natura delle obbligazioni, legale o contrattuale, si è infine osservato come, tra i creditori potenzialmente danneggiabili dalla costituzione del fondo patrimoniale vi sia anche l’erario, il quale potrebbe trovarsi nell’impossibilità di soddisfare le proprie pretese creditorie sui beni del coniuge-contribuente, protetto dal vincolo di destinazione impresso sui beni.
La costituzione del fondo patrimoniale, rendendo i beni conferiti aggredibili solo a determinte condizioni, è innegabilmente un atto di disposizione del debitore potenzialmente idoneo a rendere più incerta o difficile la soddisfazione del credito, con conseguente riduzione della garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti. Tale tendenziale insensibilità dei beni del fondo alle istanze dei creditori estranei alla famiglia ed ai debiti familiari, unita alla semplicità ed economicità della costituzione dello stesso, ha sovente portato ad un uso distorto dell’istituto, specie nella prassi commerciale ove maggiore è il rischio di vedere i propri beni aggrediti dai creditori. L’istituto si è infatti, non di rado, trasformato in strumento per tentare di frodare le ragioni dei creditori, al quale ricorrere soprattutto nell’imminenza della crisi dell’impresa gestita da uno dei coniugi.
Un breve sguardo infine alle vicende estintive del fondo. Le cause di scioglimento dell’istituto sono difatti tassativamente elencate dall’art. 171 c.c., in relazione al disposto del quale, la destinazione del fondo termina a seguito: 1) dell’annullamento del matrimonio; 2) dello scioglimento del matrimonio; 3) della cessazione degli effetti civili del matrimonio (ad esempio per divorzio o per morte di uno dei coniugi). Emerge come la norma non contempli, almeno espressamente, alcuna possibilità di scioglimento convenzionale del vincolo. Sembrerebbe pertanto che, una volta costituito, il fondo patrimoniale sia sottratto, sotto l’aspetto estintivo, alla disponibilità dei soggetti che pure né hanno determinato la nascita.