Errata imputazione dei redditi di lavoro autonomo, il principio di cassa impone la ripresa a tassazione: quali possibili rimedi

L’imputazione dei redditi al periodo di imposta e disciplinato da criteri diversi a seconda che si tratti di reddito di lavoro autonomo o reddito di impresa.

I lavoratori autonomi seguono la regola detta per “cassa” secondo la quale viene valorizzato il momento della percezione del compenso e del sostenimento delle  spese indipendentemente dalla loro maturazione, secondo quanto disposto dall’art. 54 del TUIR.

Nell’imputazione del reddito di impresa si applica, invece, il  diverso criterio della “competenza” in base al quale i proventi positivi e negativi vengono imputati sulla base della effettiva maturazione, non rilevando il momento di incasso o pagamento.

Alla base delle regole di imputazione, nel rispetto dell’autonomia di ciascun periodo di imposta, vi è l’esigenza di individuare dei criteri certi al fine di evitare che il contribuente possa, autonomamente, decidere a quale periodo di imposta attribuire i componenti positivi e negativi di reddito, orientando in tal modo la conseguente tassazione.

Indubbiamente nell’applicazione del criterio per competenza, essendo prevista una regolamentazione più complessa, si può incorrere con molta più facilità e frequenza in errori di imputazione, diversamente dal più lineare principio di cassa.

A riprova di quanto appena detto si riscontrano molti più interventi della dottrina e pronunce della giurisprudenza in relazione all’errata imputazione temporale dei componenti di reddito di impresa.

 

Essendo espressioni di un medesimo principio i cui effetti sostanziali non divergono in maniera incisiva, seppur con regole applicative diverse, alcune delle soluzioni delineate nel diverso ambito del reddito di impresa sono state utilizzate anche per la correzione degli errori commessi nell’imputazione dei redditi di lavoro autonomo.

Nel caso in cui il professionista, errando nell’applicazione del criterio di cassa, tassi il componente positivo in un periodo di imposta diverso rispetto a quello in cui l’imposta sarebbe dovuta (ad esempio il compenso viene tassato nel periodo di imposta in cui viene emessa la fattura anziché nel periodo di imposta in cui la stessa viene pagata), si pone, anche per tale tipologia reddituale, il problema dei possibili rimedi da esperire per correggere l’errore prima di un intervento di recupero da parte degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria ovvero, successivamente, per il rimborso di quanto versato in eccedenza.

Infatti, in tal caso, l’Amministrazione procede comunque alla contestazione dell’omessa dichiarazione del componente positivo, recuperando l’imposta non versata ed applicando sanzioni ed interessi.

Qualora il contribuente si ravveda dell’errore prima che l’Amministrazione finanziaria contesti l’omessa dichiarazione, ed essendo ancora nei termini disposti dall’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, potrebbe presentare una dichiarazione integrativa, sanando in tal modo l’erronea imputazione.

Se il contribuente viene a conoscenza dell’errore commesso solo in seguito ad un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, come detto, questa considera gli imponibili, erroneamente imputati ad un diverso periodo, come non dichiarati con le conseguenze del caso.

Il contribuente dovrebbe quindi, versare l’imposta relativa al periodo di corretta imputazione, sanzioni ed interessi, e procedere al recupero di quanto versato erroneamente, e dei relativi interessi spettanti sino alla data di effettivo ottenimento, mediante istanza di rimborso da presentarsi entro 48 mesi dal versamento ex art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, ovvero entro due anni da quando la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero sia divenuta definitiva a seguito di sentenza passata in giudicato o ad altro titolo.

In questo caso ci si chiede se vi siano soluzioni alternative per evitare che il contribuente si trovi a dover subire un esborso immediato a fronte di un rimborso che potrebbe avvenire finanche a distanza di anni.

Anche per l’Amministrazione tale soluzione implicherebbe un aggravio di adempimenti dovendo gestire due procedimenti: da un lato un procedimento di definizione relativo alla maggiore imposta accertata, sanzioni e interessi, e dall’altro il procedimento di rimborso oltre interessi.

Seppur approntata per il diverso caso di errore nell’applicazione del principio di competenza, potrebbe soccorrere la soluzione fornita dalla stessa Amministrazione in particolare nella Circolare 31/E del 2 agosto 2012.

In sede di procedimento di accertamento con adesione disciplinato dal D.Lgs. 218/1997  (ma anche di altri istituti deflattivi del contenzioso) nel contraddittorio tra le parti, il contribuente potrebbe chiedere la compensazione tra l’imposta oggetto di contestazione e l’imposta rimborsabile.

Nell’ambito del contraddittorio, infatti, da un lato l’ufficio esamina la posizione del contribuente, compresa la spettanza del rimborso dell’imposta versata in eccedenza nel periodo di errata imputazione del compenso, dall’altro il contribuente ha la possibilità di fornire tutti gli elementi indispensabili ai fini dell’effettuazione della compensazione.

Tale soluzione, apparentemente logica e di immediata comprensione, ma non ancora prassi seguita dagli Uffici dell’Amministrazione finanziaria quanto agli errori di imputazione del reddito di lavoro autonomo, permetterebbe da un lato di semplificare l’azione amministrativa e dall’altro di garantire la tutela dei diritti del contribuente.

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