Enti del Terzo Settore: come adeguare lo Statuto nella prospettiva dell’iscrizione al RUNTS

Dallo scorso autunno, dopo l’emanazione del documento di prassi ad opera del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si è data concreta apertura agli Enti del Terzo Settore di usufruire delle agevolazioni previste dalla Riforma del 2017 (d.Lgs. n. 117/2017 – Codice del Terzo Settore), accedendo alla procedura di iscrizione all’apposito Registro Unico.

Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) è, attualmente, comunque, istituito a livello nazionale presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ma la gestione dello stesso avviene principalmente su base territoriale, attraverso l’opera degli uffici regionali e provinciali (per le province autonome di Trento e Bolzano).

Il registro, pubblico ed accessibile agli aventi titolo in modalità telematica, è presidiato dal cennato Dicastero, che è chiamato ad assicurare omogeneità ed uniformità nell’applicazione delle regole di accesso e permanenza nel registro.

Proprio con riferimento alle condizioni di accesso al registro, vale la pena sottolineare assoluta importanza della perfetta congruenza delle regole statutarie dell’Ente interessato al nuovo quadro normativo e regolamentare.

Per quanto riguarda le procedure di modifica statutaria, l’art. 101 del citato Codice del Terzo Settore prevede che gli Enti interessati possano “modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria al fine di adeguarli alle nuove disposizioni inderogabili o di introdurre clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni derogabili mediante specifica clausola statutaria.”

Il termine per l’adeguamento degli Statuti è stato prorogato al 31 maggio 2022 dal D.L. n. 77/2021.

Il Ministero, anche in risposta a quesiti posti dagli Enti interessati, ha fornito una serie di indicazioni funzionali alla corretta integrazione delle norme statutarie, con particolare riferimento al principio di trasparenza (art. 14 del Codice del Terzo Settore) e al vincolo di destinazione delle risorse introitate (art. 8 del Codice del Terzo Settore) da un ETS.

Secondo il menzionato Dicastero, la previsione dell’art. 14, comma 2 del CTS deve essere infatti letta in stretta connessione con l’obbligo di destinazione esclusiva delle risorse finanziarie e strumentali dell’ETS al perseguimento degli scopi statutari, a presidio dell’assenza dello scopo di lucro, che “costituisce uno degli elementi caratterizzanti la figura giuridica soggettiva di ETS” (art. 4, co 1 del Codice del Terzo Settore).

Il citato art. 8 reca, infatti, il divieto di distribuzione sia diretta che indiretta di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve, comunque denominati, a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo. E’ lo stesso Ministero a richiamare l’attenzione di professionisti e addetti ai lavori, specificando come – nella rivisitazione dello Statuto – sarà, tuttavia, necessario contemperare l’assoluto rispetto del principio di trasparenza con l’interesse dei singoli soggetti coinvolti; si fa, più esplicitamente, riferimento ai “principi di ragionevolezza, proporzionalità e pertinenza che non consentono, ad esempio, di rendere noti elementi informativi non necessari ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla norma; come pure elementi che possano anche indirettamente rendere conoscibili situazioni particolari del singolo percettore di tali emolumenti (come ad esempio elementi della retribuzione attribuiti non in ragione dell’attività svolta ma di situazioni proprie del singolo e tali da fornire indebitamente informazioni sulla sua specifica condizione, ad es. di natura sanitaria); o informazioni di natura patrimoniale a ben vedere riconducibili alla situazione dell’individuo ma non collegate alle attività svolte, agli incarichi ricoperti o più in generale all’appartenenza all’ente del Terzo settore”.

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L’obbligo degli Uffici di dare esecuzione alle sentenze tributarie

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 156/2015 all’articolo 67-bis del D.Lgs. 546/1992, tale previsione stabilisce che le sentenze delle commissioni tributarie (oggi, per effetto della Legge n. 130/2022, corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado) sono esecutive. Già anteriormente al D.Lgs. 156/2015, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che l’efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi fosse già riconosciuta dal sistema. Essa doveva desumersi, oltre che dal generale rinvio effettuato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile, e quindi anche all’articolo 282 c.p.c., anche sulla base dell’articolo 68 del menzionato D.Lgs. 546/92.

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