Il conferimento di un’azienda in una società neo costituita e la successiva cessione a terzi delle quote di partecipazione nella medesima configurano un’ipotesi di elusione fiscale, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale.
Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16345 del 28 giugno 2013, che ha confermato la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna respingendo il ricorso proposto dai contribuenti.
Nella fattispecie in esame l’Agenzia delle Entrate aveva ravvisato un intento elusivo nella stipula di un atto di costituzione di società in accomandita semplice con contestuale conferimento di un’azienda alberghiera, cui aveva fatto seguito la cessione delle quote di partecipazione: l’Ufficio aveva riqualificato l’intera vicenda come cessione d’azienda ai fini dell’Invim e delle imposte di registro, ipotecaria e catastale.
In primo grado il ricorso dei contribuenti avverso l’avviso di liquidazione delle maggiori imposte aveva avuto esito favorevole, mentre i giudici di secondo grado avevano accolto l’appello presentato dall’Ufficio ritenendo sussistente il collegamento tra i negozi, posti in essere entro un breve lasso di tempo.
I contribuenti hanno proposto ricorso per Cassazione eccependo, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 12 preleggi nonché dell’art. 20 d.P.R. 131/1986, in quanto i giudici di appello avevano ritenuto sussistente il carattere elusivo dei negozi senza considerare le giustificazioni degli atti compiuti e fornendo un’interpretazione non convincente delle disposizioni in tema di registro.
In conclusione, i ricorrenti hanno posto alla Corte i seguenti quesiti: a) “se il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, debba essere interpretato nel senso che l’imposta di registro va applicata secondo gli effetti giuridici di due o più atti distinti ma collegati tra loro e presentati per la registrazione in tempi diversi”; b) “se il conferimento in società di un’azienda alberghiera gravata da mutuo fondiario e la successiva cessione delle quote a terzi estranei alla Società siano negozi collegati che devono essere considerato quale cessione dell’azienda alberghiera rilevante ai fini del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20”; c) “se il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, consenta di ritenere collegati tra loro due o più negozi giuridici che non presentino connessione oggettiva e soggettiva”.
La Suprema Corte, pur ritenendo ammissibili i quesiti, ha respinto il ricorso rilevando che, come già sostenuto da numerose pronunce di legittimità (cfr. Cass. n. 10273 del 2007 e n. 3584 del 2012), la scelta compiuta dal legislatore con l’art. 20 in commento sarebbe quella di privilegiare “la intrinseca natura e gli effetti giuridici” al “titolo o la forma apparente” degli atti sottoposti a registrazione e, pertanto, l’autonomia contrattuale nella scelta degli strumenti ritenuti più idonei per il conseguimento dello scopo perseguito e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi ad esso preordinati resterebbero circoscritte sul piano della regolamentazione formale degli interessi delle parti, senza estendersi alla loro rilevanza fiscale.
Secondo la Cassazione, l’art. 20 del T.U.R. introduce, infatti, un criterio di qualificazione autonomo rispetto alle ordinarie ipotesi interpretative civilistiche, che impone di tener conto, nella qualificazione del negozio, della sua causa reale e degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche qualora siano stati stipulati, pur in tempi diversi, più atti (cfr. Cass. n. 9162 del 2010).
Da tale principio conseguirebbe la tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola: anche se resta preminente l’interpretazione della volontà contrattuale, secondo i giudici di legittimità nell’individuazione della materia imponibile andrebbe data preminenza assoluta alla causa reale rispetto all’assetto cartolare.