L’inquadramento dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale nell’ambito della disciplina dell’imposta di registro ha generato nel recente passato un vero e proprio contrasto, sia in seno alla giurisprudenza di legittimità che nella prassi amministrativa.
La questione controversa riguarda, segnatamente, la natura patrimoniale o meno del conferimento di beni da parte dei coniugi nel fondo patrimoniale, da cui deriva l’assoggettamento all’imposta di registro in misura proporzionale oppure fissa.
L’attuale disciplina dell’imposta di registro ricollega infatti una tassazione in misura fissa esclusivamente a quegli atti che siano privi di valenza patrimoniale e pertanto non siano espressivi di capacità contributiva.
La fattispecie più dibattuta è, in particolare, quella relativa al regime impositivo applicabile all’atto costitutivo di fondo patrimoniale nel caso in cui il costituente si riservi espressamente la proprietà dei beni conferiti. Tale questione è stata infatti oggetto della maggior parte della giurisprudenza di legittimità intervenuta sul tema.
Secondo una tesi frequentemente prospettata dall’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui il coniuge si riservasse la proprietà del bene con cui si costituisce il fondo patrimoniale, l’altro coniuge acquisterebbe sul medesimo bene un particolare diritto di godimento, equiparabile all’usufrutto. L’acquisto ex lege di tale diritto di godimento, pur non verificandosi alcun effetto traslativo, avrebbe natura e consistenza patrimoniali e giustificherebbe l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.
Con una delle prime pronunce sull’argomento, la sentenza n. 3343 del 7 marzo 2002, la Corte di Cassazione sembrò adeguarsi a tale ricostruzione, riconducendo l’atto costitutivo di fondo patrimoniale alla categoria degli atti dichiarativi prevista dall’articolo 3 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, con conseguente applicazione dell’imposta in misura proporzionale dell’1 per cento.
Successivamente, tuttavia, la Corte è tornata sul tema della natura dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale ai fini dell’imposta di registro, giungendo a conclusioni diametralmente opposte.
In particolare, un indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità giunge ad assoggettare l’atto di costituzione del fondo alla fattispecie residuale degli atti non aventi natura patrimoniale di cui all’art. 11 della suddetta Tariffa, attraverso un ragionamento per esclusione.
Secondo la Corte infatti, “tale convenzione non è un atto traslativo a titolo oneroso (art. 1 della Tariffa), in quanto non vi è trasferimento di proprietà o altro diritto reale, dal momento che la proprietà esclusiva resta al coniuge conferente. Non è un atto che ha per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, perché tra gli stipulanti non vi è scambio di alcuna prestazione e controprestazione patrimoniale o, comunque, alcuno scambio di prestazioni tra i coniugi in un sinallagma economicamente rilevante (art. 9). Non è un atto avente mera natura ricognitiva (art. 3), perché fa sorgere un vincolo di destinazione dei beni, efficace “erga omnes”. E’, invece, una convenzione costitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale, in quanto vincola l’utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia“.