Accertamento con adesione: la Corte Costituzionale rende “intangibile” la sospensione di 90 giorni del termine per presentare ricorso al giudice tributario

La Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 140 pubblicata il 15 aprile 2011 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218/97 sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano nella parte in cui tale norma prevede che la presentazione della domanda di accertamento con adesione ad opera del contribuente comporti la sospensione del termine per la presentazione del ricorso per un periodo di 90 giorni a prescindere dall’esito del contraddittorio. In sostanza la Corte Costituzionale, in conformità a quanto sostenuto sia dalla prassi ministeriale (Circolare Agenzia delle Entrate n. 65/E del 2001) che dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 15171 del 12 maggio 2006), ha affermato il principio secondo cui il periodo di sospensione del termine per ricorrere di 90 giorni conseguente alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione previsto dall’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218/97 opera a prescindere dall’esito del contraddittorio.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218/97 è stata sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. nella parte in cui tale disposizione non prevede che la formalizzazione del mancato raggiungimento dell’accordo comporti la rinuncia all’istanza di accertamento con adesione e, quindi, il venire meno della sospensione del termine per ricorrere. Secondo il giudice rimettente la norma in esame intesa nel senso di consentire “la fruizione della sospensione dei termini per ricorrere pur dopo la formalizzazione del mancato accordo e dell’abbandono del procedimento” viola il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto da essa consegue che “le istanze di accertamento con adesione diventeranno la regola ed il termine per ricorrere, di fatto, passerà da 60 a 150 giorni”. Secondo i giudici lombardi la disposizione in esame, la cui ratio è indubbiamente soltanto quella di favorire accordi tra Fisco e contribuente, se interpretata nel modo sopra indicato “può offrire un facile espediente ai contribuenti e ai professionisti più accordi per il superamento della perentorietà dei termini di impugnazione” con violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost..

La Corte Costituzionale con la ordinanza in esame dichiara la manifesta infondatezza della questione sostenendo che, tenuto conto che il procedimento di accertamento con adesione ha la finalità di prevenire l’impugnazione dell’atto di accertamento tributario notificato favorendo l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere ad una definizione concordata e preventiva della controversia, non è irragionevole la previsione di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, così come è del tutto ragionevole che la norma in esame disponga che solo il contribuente possa fare cessare la sospensione del termine di impugnazione proponendo ricorso avverso l’atto di accertamento (ipotesi di rinuncia implicita espressamente prevista dalla legge nell’ultimo periodo dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218/97) ovvero mediante una formale ed irrevocabile rinuncia all’istanza di concordato.

In particolare, rileva la Consulta, la redazione del verbale dal quale risulti che le parti concordano nel concludere con esito negativo il procedimento di accertamento con adesione, si concreta in una mera presa d’atto del mancato raggiungimento dell’accordo fra il contribuente e l’ufficio tributario e, conseguentemente, non può essere equiparato né all’impugnativa dell’atto di accertamento, nè assumere il significato di una definitiva rinuncia del contribuente all’istanza di accertamento con adesione. La mera constatazione nel verbale di chiusura negativo del contraddittorio che ad una certa data non è stato raggiunto l’accordo “da un lato, non impedisce che esso possa essere successivamente raggiunto prima dell’instaurazione del contenzioso e, dall’altro, non esprime l’univoca volontà del contribuente di escludere, anche per il futuro, la composizione amministrativa della controversia”. Pertanto, “la constatazione del mancato accordo tra le parti non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione, sia essa manifestata con dichiarazione espressa o mediante proposizione del ricorso”.

In senso conforme alla decisione della Consulta si era già espressa la Corte di Cassazione, che nella sentenza n. 15171 del 12 maggio 2006, aveva chiarito che la chiusura con esito negativo del procedimento di accertamento con adesione prima della decorrenza del termine di sospensione di 90 giorni, non comporta rinuncia del contribuente ad avvalersi della sospensione dei termini per ricorrere concessa a coloro che si avvalgono della procedura concordataria. Infatti, affermava la Corte di Cassazione, “costituisce incontestato principio dell’ordinamento tributario (Cassaz. n. 1325/1975; n. 2463/1975; n. 3881/1975; n. 3247/1977) che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente di essere tenuto al pagamento di un tributo contenuto in una procedura di accertamento – quale l’adesione – l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che il rapporto tributario debba considerarsi estinto. Tale riconoscimento – e quindi una rinuncia implicita ad avvalersi dei diritti riconosciuti al contribuente – esula infatti da una procedura rigidamente ed inderogabilmente regolata dalla legge (cfr. Cassaz. n. 11222/2002), che non ammette che l’obbligazione tributaria sia viceversa regolata dalla volontà del contribuente, che rileva soltanto ove inequivocabilmente lo stesso contribuente abbia accettato il quantum debeatur, mentre la rinuncia all’an debeatur, anche in termini di rinuncia ad avvalersi di un più ampio termine di impugnazione previsto per un dato tipo di rapporti tributari, deve essere espressa o risultare in termini assolutamente in equivoci”.

Articoli Recenti

L’obbligo degli Uffici di dare esecuzione alle sentenze tributarie

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 156/2015 all’articolo 67-bis del D.Lgs. 546/1992, tale previsione stabilisce che le sentenze delle commissioni tributarie (oggi, per effetto della Legge n. 130/2022, corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado) sono esecutive. Già anteriormente al D.Lgs. 156/2015, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che l’efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi fosse già riconosciuta dal sistema. Essa doveva desumersi, oltre che dal generale rinvio effettuato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile, e quindi anche all’articolo 282 c.p.c., anche sulla base dell’articolo 68 del menzionato D.Lgs. 546/92.

Leggi articolo
error: Il sito è protetto da copyright!