Ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 218/1997, il contribuente nei cui confronti sia stato notificato un avviso di accertamento o di rettifica ai fini delle imposte sui redditi o dell’Iva può formulare, anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, istanza di accertamento con adesione.
Caratteristica fondamentale di tale istituto è la sospensione per un periodo di novanta giorni dei termini per impugnare l’atto ritenuto lesivo: dal momento della notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica, il contribuente disporrà pertanto di ben 150 giorni per fare ricorso al Giudice Tributario.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha precisato che, alla luce dell’estrema diversità delle ragioni ispiratrici delle differenti modalità di sospensione, la dilazione prevista per effetto della normativa in tema di accertamento con adesione si cumula con l’ordinaria sospensione feriale ex Legge n. 742/1969 (dal 1° agosto al 15 settembre) nonché, nel peculiare caso sottoposto all’attenzione della Corte, anche con quella prevista dalla Legge n. 289/2002 (dal 1° gennaio al 18 aprile 2003) in materia di condono, periodo al quale deve comunque essere sommato il termine di sessanta giorni per l’impugnazione degli atti impositivi ai sensi dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 (cfr. Cass. 4 febbraio 2011, n. 2682).
Alcune recenti pronunce giurisprudenziali si sono, poi, occupate del destino della citata sospensione nei casi di adesione meramente dilatoria e di rinunce espresse o comunque inequivocabili alle istanze precedentemente formulate.
Una prima valutazione al riguardo si è avuta con la Sentenza n. 154/22/2011 della Commissione Tributaria Regionale di Venezia, la quale è giunta alla conclusione che l’istanza di accertamento con adesione prodotta dalla parte all’Ufficio per meri fini dilatori e non seguita da alcun tentativo effettivo di adesione, non produce la sospensione di 90 giorni dei termini di impugnazione prevista dall’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 218/1997.
Nella fattispecie, infatti, il contribuente con l’istanza chiedeva all’Amministrazione finanziaria di annullare in autotutela l’avviso di accertamento e di formulare una proposta di accertamento con adesione, ma poi, di fatto, lo stesso contribuente non si presentava all’invito a comparire formulato dall’Ufficio. Secondo la C.T.R. l’istanza presentata doveva, pertanto, considerarsi una mera istanza di autotutela e come tale inefficace a sospendere il termine per la presentazione del ricorso.
Sulla medesima linea interpretativa si è posta la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso che, con Sentenza n. 73 del 18 luglio 2012, ha dichiarato l’inammissibilità, per tardiva presentazione, del ricorso, in quanto, dall’analisi del comportamento concreto tenuto dal contribuente, il procedimento di adesione sarebbe stato instaurato con mera finalità dilatoria, ovvero proposto al solo scopo di ottenere un allungamento dei termini di impugnazione, senza un’effettiva volontà di tentare di addivenire ad una soluzione concordata col Fisco.
Secondo i Giudici, la presentazione di un’istanza di accertamento con adesione non è di per sé sufficiente a far scattare la sospensione dei termini per l’impugnazione dei provvedimenti ritenuti lesivi; essendo, invece, necessario che l’istante provi, “con comportamento fattivo, di avere una concreta e reale volontà di avviare per lo meno un dialogo con l’Amministrazione finanziaria”.
L’istanza presentata per mero scopo dilatorio, essendo finalizzata ad un “indebito vantaggio fruito per effetto della sospensione dei termini per ricorrere”, oltre a violare il principio di buona fede, integrerebbe un’ipotesi di abuso del diritto e, di conseguenza, “il ricorso avverso gli avvisi di accertamento risulta inammissibile, perché presentato oltre il termine previsto ex art. 21, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992”.
Emerge, tuttavia, come la descritta posizione non solo contrasti con il tenore letterale della norma – la quale si limita ad affermare che la sospensione del termine per ricorrere consegue, quale effetto automatico e predeterminato dal Legislatore, alla mera presentazione dell’istanza –, ma anche con la ratio dell’istituto deflattivo in esame. Il più ampio termine di 150 giorni rappresenta, infatti, una garanzia per i contribuenti che intendano definire la controversia prima dell’instaurazione del contenzioso, in quanto, in caso di eventuale ricorso, la predetta sospensione li solleva dal rischio di pronunce di inammissibilità del ricorso medesimo.
Inoltre, all’affermazione secondo cui il comportamento collaborativo va valutato sulla base di verbali redatti dai funzionari in modo sommario e nel corso del contraddittorio, è stato opposto come questi difficilmente potrebbero consentire di provare l’effettiva volontà del contribuente di instaurare una dialogo con l’Ufficio.
Le finora citate pronunce non si pongono, in realtà, nel filone giurisprudenziale maggioritario, secondo il quale l’attuale disciplina normativa di cui all’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 218/1997 non porrebbe, invece, alcun freno alla presentazione all’interno del procedimento di adesione di istanze meramente dilatorie. In caso contrario, infatti, si correrebbe il rischio di disincentivare i contribuenti dal previo esperimento di una definizione anticipata delle pretese, finendo per aggravare i contenziosi tributari.
A tal riguardo, si segnala l’Ordinanza n. 381/2010 con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha investito la Consulta della questione di costituzionalità dell’art. 12, comma 2, (in materia di imposte indirette) e dell’art. 6, comma 3 (in materia di imposte dirette ed Iva) del D.Lgs. n. 218/1997. A detta della C.T.P. tali disposizioni avrebbero consentito, sostanzialmente, “di usufruire della sospensione del termine per impugnare un avviso di accertamento, pur dopo la formalizzazione del mancato accordo e dell’abbandono del relativo procedimento”, legittimando, di fatto, la presentazione di istanze di adesione meramente dilatorie.
La Corte Costituzionale, nell’esaminare la questione prospettata dai Giudici milanesi, con Ordinanza n. 140/2011, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza, ritenendo, invero, ragionevole la previsione legislativa di un periodo fisso di sospensione dei termini d’impugnazione, idoneo a consentire un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione, durante il cui decorso contribuente e Ufficio possono liberamente valutare la pretesa impositiva, eventualmente allacciando, sciogliendo e riannodando trattative.
Ed anche nell’ipotesi in cui venga redatto verbale di esito negativo del contraddittorio, secondo il Giudice delle Leggi: “nulla impedisce un successivo raggiungimento dell’accordo, prima dell’instaurazione del contenzioso, né, tanto meno, esprime l’univoca volontà del contribuente di escludere anche per il futuro la composizione amministrativa della controversia”. Spetterà, pertanto, al solo soggetto passivo di far cessare la sospensione dei termini per impugnare proponendo ricorso avverso l’avviso di accertamento o di rettifica, ovvero mediante formale ed irrevocabile rinuncia all’istanza di accertamento con adesione precedentemente formulata.
Tali conclusioni della Consulta hanno, in seguito, trovato conferma anche in una pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 3762 del 9 marzo 2012, a detta della quale “la chiusura del procedimento di adesione, prima del decorso del termine di 90 giorni previsto dal corrispondente del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, non comporta la rinuncia del contribuente a giovarsi della sospensione dei termini di impugnazione concessa a coloro che si avvalgono della procedura in questione. Una simile conclusione è sorretta dal riferimento al principio per cui, in materia tributaria, il puro e semplice riconoscimento del contribuente, nell’ambito di una procedura di accertamento, di essere tenuto al pagamento di un tributo, non produce l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, essendo l’obbligazione tributaria rigidamente regolata dalla legge, e non dalla volontà del contribuente”.
Sempre in merito alla sospensione dei termini per impugnare, con la recente Ordinanza n. 17439 del 12 ottobre 2012, la Corte di Cassazione si è occupata della diversa ipotesi in cui il contribuente, in sede di contraddittorio con l’Ufficio o attraverso un altro atto trasmesso al Fisco, comunichi in modo espresso o comunque inequivocabile la propria volontà di revocare l’istanza di accertamento con adesione precedentemente formulata.
I Giudici Supremi hanno, a tal proposito, affermato che la rinuncia espressa o comunque inequivocabile all’adesione è atto interruttivo della sospensione dei termini per impugnare, con la conseguenza che il ricorso presentato nei 150 giorni (a cui si sommano, se del caso, quelli previsti per la sospensione feriale) deve essere dichiarato inammissibile.
La sospensione dei termini per ricorrere non è, tuttavia, interrotta dal verbale di mancato accordo tra le parti, atteso che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata volta a favorire il raggiungimento di un accordo tra Fisco e contribuente, tale interruzione si può verificare soltanto con l’univoca manifestazione di volontà del contribuente di non voler più giungere ad un’intesa con l’Ufficio, e ciò può avvenire o con la presentazione del ricorso o con una formale ed irrevocabile rinuncia all’istanza di adesione (cfr. Cass. 11 maggio 2012, n. 7334).
Quindi, se il contribuente, nel corso del contradditorio con l’Ufficio finalizzato all’adesione, si limita a dichiarare il mancato raggiungimento dell’accordo, non si ha alcuna interruzione della sospensione dei termini, ma se questi nella medesima sede dichiara espressamente di voler revocare l’istanza o rinunciare all’adesione, allora il termine per la presentazione del ricorso avverso l’atto impositivo deve ritenersi scaduto decorsi sessanta giorni dalla notifica del provvedimento a cui vanno aggiunti i giorni compresi tra la data di presentazione dell’istanza di adesione da parte del contribuente e la data in cui questi ha rinunciato alla stessa.
Sul rapporto tra tentativo di accertamento con adesione e sospensione dei termini per l’impugnazione dell’atto è, di recente, intervenuta anche la Commissione Tributaria Regionale del Lazio con Sentenza n. 14/39/2013 depositata lo scorso 21 gennaio. Detta pronuncia concerne la peculiare fattispecie in cui la notifica dell’atto impositivo sia stata preceduta da invito a comparire da parte dell’Amministrazione finanziaria ai sensi di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 6 del D.Lgs. n. 218/1997. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che se la notifica dell’atto impositivo è stata preceduta da invito al contraddittorio, il quale descrive dettagliatamente i rilievi d’imposta, l’istanza di accertamento con adesione presentata dal contribuente non produce la sospensione automatica di novanta giorni del termine per impugnare.
Il Giudice tributario ha, infatti, osservato che l’istanza promossa dal contribuente successivamente alla notifica dell’atto impositivo “non poteva produrre alcun effetto, né tanto meno la sospensione dei termini perché impedita dal precedente contraddittorio attivato dall’Ufficio”. Di qui, l’intempestività del ricorso e la declaratoria di inammissibilità dello stesso, perché il termine per proporlo scadeva il sessantesimo giorno successivo alla data di notifica dell’atto.