Nel nostro ordinamento giuridico, l’articolo 132 c.p.c. prevede espressamente che la sentenza debba contenere a) l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata; b) l’indicazione delle parti e dei loro difensori; c) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti; d) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; e) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.
Ciò posto, la mancata indicazione delle parti nell’epigrafe della sentenza del nome di una delle parti rende nullo il provvedimento quando né dallo “svolgimento del processo”, né dai “motivi della decisione”, sia dato desumere la sua effettiva partecipazione al giudizio.
Questo principio è stato confermato dalla sentenza n. 22055 depositata in data 11 settembre 2018 dalla Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, il giudizio traeva origine da una richiesta da parte degli attori di condanna dei convenuti sia alla demolizione di un manufatto, che secondo costoro non rispettava le distanze dai confini previste dalla legge, sia al risarcimento dei danni da essa derivanti.
I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree in quanto infondate e, con un’ulteriore domanda riconvenzionale, domandavano altresì il risarcimento dei danni.
Il Tribunale accoglieva le domande attoree e, pertanto, condannava parte convenuta alla demolizione e al risarcimento dei danni; decisione che veniva confermata anche in sede di appello.
I soccombenti decidevano di procedere avanti la Suprema Corte rilevando, tra i vari motivi, la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c. per la mancata indicazione, nella sentenza impugnata, dell’indicazione dei nomi degli appellati, che si erano costituiti in giudizio nelle more dichiarando di voler subentrare nella posizione processuale della madre deceduta nel corso del giudizio di secondo grado. Continua la lettura »
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